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Bambini e dipendenza da videogame, la malattia dell’ultima generazione

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Bari: “Mio figlio dipendente dai videogiochi, lo nutro forzatamente”. Partiamo da questo triste fatto di cronaca che vede protagonista un bambino di 13 anni, totalmente drogato di videogame, ed una mamma disperata, costretta a chiedere aiuto ai medici del Dipartimento dipendenze patologiche della Asl di Bari. Purtroppo non si tratta di un caso isolato, ma è la triste realtà che interessa un numero sempre crescente di adolescenti dipendenti da videogame e di mamme disperate in cerca di aiuto.

Quello che per molti bambini è soltanto un gioco, per noi genitori non è altro che un motivo in più di preoccupazione. A differenza di molte mamme che, egoisticamente parlando, preferiscono vedere il loro figlio davanti ad uno schermo, al calduccio e lontano dai pericoli esterni, secondo l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità), il gaming disorder, ovvero la dipendenza da videogame è una vera e propria malattia mentale.

dipendenza da videogame
La dipendenza da videogame è, secondo l’Oms, una malattia che sta colpendo sempre più bambini. (free photos by pixabay.com)

Ma come capire se un bambino soffre di dipendenza da videogame?

E’ ovvio che non possiamo parlare di dipendenza da videogame se il bambino ha una regolare vita sociale, frequenta con interesse la scuola e gioca con i videogame solo nel tempo libero. Ma ci sono dei campanelli di allarme da non sottovalutare, una serie di comportamenti che aiutano a capire se il bambino è entrato nel tunnel della dipendenza da videogame.
Secondo Vladimir Poznyak, del Dipartimento per la salute mentale dell’Oms, i criteri sono tre:

  • “una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti che prendono il sopravvento sugli altri interessi della vita”,
  • “anche quando si manifestano le conseguenze negative dei comportamenti, non si riesce a controllarli”,
  • “il fatto che questi atteggiamenti portano a problemi nella vita personale, familiare e sociale, con impatti anche fisici, dai disturbi del sonno ai problemi alimentari”.

In altre parole, sono campanelli di allarme:

  • la perdita di ore di sonno,
  • la tendenza ad isolarsi,
  • l’incapacità di trovare concentrazione,
  • scarsi risultati scolastici,
  • l’annullamento della vita sociale,
  • un peggioramento della salute,
  • lo sviluppo di una personalità compulsiva e uno scollegamento dalla realtà.

Proprio come per le tossicodipendenze, anche la necessità di trascorrere ore ed ore davanti ad uno schermo comporta astinenza ed assuefazione. Il bambino, quindi, per trovare soddisfazione sente la necessità di aumentare di volta in volta le ore di gioco. Al contrario, la lontananza dal PC o dalla consolle scatena irrequietezza, comportamenti impulsivi e pensieri ossessivi.

Insomma, con la dipendenza da videogame, considerata la risposta maschile all’anoressia femminile, non ci si scherza. Fortunatamente, ad oggi, non tutti i videogiocatori soffrono del disturbo, anzi, i dipendenti sono solo una minima parte.

Gaming disorder: i soggetti più a rischio

La fascia di età più a rischio riguarda gli adolescenti maschi dai 12 ai 16 anni, un periodo delicato, di crescita e di sviluppo, durante il quale i ragazzi si trovano ad affrontare le fasi della pubertà. Sono maggiormente a rischio i bambini che scelgono di non fare sport e temono il confronto con i loro coetanei, preferendo quindi l’isolamento. L’unico posto in cui si sentono realizzati e superiori agli altri è proprio davanti al videogame, al quale dedicano tutto il tempo disponibile.

Quali sono i sintomi della dipendenza da gioco?

Descritta come “una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti che prendono il sopravvento sugli altri interessi della vita”, la dipendenza da videogiochi è una malattia a tutti gli effetti, con sintomi di vario genere ma riconoscibili.
Tra cui:

  • La centralità che i videogiochi assumono: quando cioè gli unici pensieri del ragazzo, emozioni ed argomenti sono unicamente rivolti al gioco.
  • L’alterazione dell’umore: stati di euforia ed eccitazione nel momento del gioco e stati di apatia quando sono lontani dalla consolle. Seguiti poi da stati di astinenza, con irritabilità e cattivo umore quando si è impossibilitati a giocare.
  • Problemi organici: il bambino smette di mangiare, di bere e di dormire per giocare, con ovvie conseguenze sulla salute.
  • Nei casi più gravi, ci sono complicazioni neurologiche: la stimolazione luminosa e la privazione del sonno possono comportare anche crisi epilettiche.
  • Cefalee: quasi inevitabile, conseguenza dello stress e della lunga esposizione al gioco.

E’ possibile curare la dipendenza da videogame?

La miglior terapia per la dipendenza da videogame è il dialogo tra genitori e figlio, occorre far ragionare il proprio figlio ed insieme stabilire la durata del gioco e possibilmente togliere il videogioco dalla camera da letto. Offrire un’alternativa al giocatore, proponendo attività da fare insieme, magari una passeggiata all’aperto, un film al cinema… Evitare misure drastiche, come la negazione totale del videogioco.

Se ciò non dovesse bastare, allora è il caso di rivolgersi ad un pediatra in grado di affrontare questa problematica. Nei casi più estremi, invece, si consiglia di rivolgersi ad uno psicologo o psichiatra. C’è poi il Serd, il Servizio pubblico dedicato alle cure delle dipendenze, che si occupa di consulenza, cura e assistenza alle persone di qualsiasi età che hanno o potrebbero avere problemi di dipendenza. Ma in questo ambiente il bambino potrebbe venire a contatto con realtà di dipendenze molto più gravi che potrebbero scatenare processi di paure e peggiorare il problema da risolvere.

Ora, torniamo al triste fatto di cronaca accennato all’inizio e prendiamo esempio del grande coraggio della mamma che ha ammesso la dipendenza del proprio figlio con il mondo virtuale e ha chiesto aiuto.

Non lasciamo che la tecnologia prenda il posto delle relazioni, ma soprattutto, non permettiamo ai nostri figli di trascorrere la propria vita di fronte ad uno schermo. Insegniamo loro tutto ciò che di bello la vita offre. Non impediamogli di scoprire il mondo, anche sbagliando, perché è indispensabile e produttivo per costruire le basi del loro futuro.






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