Nell’ultimo anno e mezzo l’attenzione della pubblica opinione è stata attratta dalla evoluzione della pandemia. Attrazione fatale, totalmente esclusiva! Gli altri problemi della Sanità e della salute degli italiani sono passati per così dire in seconda linea o meglio sono caduti nella disattenzione e nel dimenticatoio.
Ora però che la pandemia almeno in Italia mostra chiari segni di arretramento , fortunatamente a fine maggio siamo tornati alla condizione di metà ottobre 2020 e e della pari data dell’anno precedente, man mano che la protezione vaccinale avanza, è tempo di riprendere discorsi interrotti sia dal punto di vista organizzativo che assistenziale, perché i problemi ante Covid sono rimasti invariati. Non si è più parlato dei viaggi della speranza, delle liste di attesa per esami diagnostici o interventi chirurgici, non si è più fatto cenno alle drammatiche attese nei pronti soccorsi, alla carenza di attrezzature, allo stato degli Ospedali del Sud, alla carenza di medici anzi di specialisti, eccetera
Ma soprattutto la destinazione dei fondi alla Sanità nel Recovery Plan è avvenuta nel chiuso delle stanze del potere, senza partecipazione di base o almeno senza dibattito tra i tanti esperti del settore disponibili in questo Paese. Nel Recovery Plan alla Sanità sono andati poco più di 20 miliardi di Euro, meno del 10% dell’intero contributo europeo e comunque molto meno di quanto sarebbe stato possibile ottenere accettando il MES sul quale è ormai inutile avere rimpianti o fare polemica.
Dei 20 miliardi destinati alla Sanità, meno della metà sono andati a quella che è stata evidenziata dalla pandemia come la maggiore criticità del Servizio Sanitario Nazionale, ossia la medicina e l’assistenza nel territorio. Perciò il Piano per la Sanità esposto nella Mission 6 del voluminoso Programma Nazionale spedito a Bruxelles per l’approvazione comunitaria, mira al potenziamento del SSN con qualche innovazione . Non una nuova Riforma che pure era necessaria dato che quella vigente ha più di 40 anni! Una occasione sprecata?
Comunque l’allocazione delle risorse riguarda in primo luogo l’assistenza territoriale con la creazione su tutto il territorio nazionale di ben 1138 Case di Comunità da realizzare entro il 2026, che riecheggiano i vecchi poliambulatori delle defunte Casse Mutue soppresse con la legge 833 / 1978 ma con alcuni servizi sociali aggiuntivi, nonché 381 Ospedali di Comunità, tra 20 e 40 posti letto, non dissimili dagli Ospedali di terza categoria della legge Petragnani del 1938 e degli Ospedali di zona della successiva riforma Mariotti del 1968, cambiando però la gestione assistenziale trasferita dai medici agli infermieri! Il vero sforzo nel territorio sarà il potenziamento dell’assistenza domiciliare a favore dei tanti anziani della popolazione italiana, nonché la telemedicina. Il tutto articolato attraverso una potente digitalizzazione.
Il secondo punto della Mission 6 finanziabile con l’altra metà dei fondi europei, riguarda, oltre la digitalizzazione, l’innovazione e la ricerca, con la riforma degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e l’ammodernamento del parco tecnologico con 3133 nuove grandi apparecchiature, nonché 3500 nuovi posti letto di terapia intensiva e 4225 di terapia sub- intensiva. Sarà poi significativamente aumentato il numero delle borse di studio disponibili per la formazione specialistica dei medici.
Come non considerare eccellenti questi indirizzi, ossia queste scelte, di fatto sollecitate dalla pandemia? Però a volere guardare con più attenzione, alcune criticità sono rimaste inevase.
La prima riguarda il personale per le nuove strutture sia dal punto di vista numerico, ossia dove recuperarlo, sia dal punto di vista organizzativo, cioè non solo del chi fa cosa, ma anche di chi dirige con autorità responsabilità. Secondo, il rapporto pubblico- privato. Si era parlato del possibile trasferimento dal convenzionamento alla dipendenza diretta dal SSN dei medici di medicina generale, ma di questo non c’è traccia nel documento, come anche non è chiaro come avverrà la gestione dei nuovi servizi e delle nuove strutture. Prevarrà il cosiddetto sistema lombardo o quello emiliano o laziale ? Terzo, manca ogni accenno alla soluzione della questione meridionale, ove il SSN paga una grave arretratezza strutturale e professionale e dove la migrazione sanitaria è forte verso il Nord e verso l’estero, impoverendo ulteriormente la disponibilità finanziaria locale ossia trasferendo al Nord risorse economiche e professionali del sud. La nomina con il secondo governo Conte di un Ministro della Sanità del sud, confermato nell’attuale Governo Draghi, aveva lasciato sperare in un futuro migliore per il meridione, ma evidentemente ha prevalso la logica del “todos caballeros” ossia uguale distribuzione delle risorse su tutto il territorio nazionale, mentre in realtà alla Sanità del sud mancano non solo i Caballeros, ma anche i cavalli!
Le critiche al Recovery Plan in Sanità vanno aumentando di giorno in giorno ed è significativo che nessuna forza politica ha ritenuto conveniente affrontare il problema ed intestarsi i provvedimenti deliberati .Poiché però il sistema dovrebbe andare a regime entro il 2026 ci sarà tempo in itinere per aggiustamenti e miglioramenti anche attraverso gli innumerevoli decreti attuativi previsti. Con la benevolenza dell’Europa.
Nel frattempo però maiora premunt, ossia l’emergenza Covid ha prodotto un’altra emergenza, quella dei tanti malati che rintanati in casa per la paura del virus hanno rinunziato ad esami e cure per altre malattie e di quelli che non hanno trovato adeguata accoglienza ospedaliera nei reparti occupati dal Covid. Tra questi un gran numero di pazienti oncologici, di cardiopatici, di neurologici per malattie degenerative, di artrosici, reumatici, insufficienti respiratori e renali, di ipovedenti, di ematologici, per non parlare delle malattie rare, eccetera eccetera.
La prevenzione secondaria oncologica prima del Covid, in atto su tutta la popolazione italiana con i tre screening per tumori della mammella, del collo dell’utero e del colon-retto, ha marcato un ritardo di circa sei mesi con quasi 2 milioni e mezzo di esami in meno nel 2020 rispetto all’anno precedente. Il Piano Oncologico Nazionale fermo al 2016 non è stato aggiornato ed ovviamente non è stato adeguato al Piano Europeo di lotta contro il cancro. Conseguentemente una significativa quota di queste neoplasie è arrivata con gravi ritardi al trattamento con conseguenze drammaticamente immaginabili. Saremo capaci di colmare questi ritardi?
Forse almeno su scala regionale sarebbe opportuno predisporre Piani di rientro non dal deficit economico, ma dai ritardi diagnostico terapeutici dell’era Covid, schierando tutte le forze disponibili in campo anche attraverso un nuovo e diverso Comitato Tecnico Scientifico.
Come dicono alcuni questa nuova emergenza, frutto della prima, rappresenta una pandemia nascosta non meno grave e che deve essere evitata dispiegando tempestivamente energie e professionalità, organizzazione e mezzi strumentali, sino ad ora soffocati dall’imperversare del virus. A suo tempo in molti, a voce e per iscritto, si sono domandati….” Ma ai malati Nocovid chi ci pensa?”…. Questo interrogativo è rimasto allora senza risposta nella ferma convinzione che l’attività assistenziale preesistente nel Servizio Sanitario Nazionale e nel privato, fosse sufficiente, senza però considerare che il sistema standard non era in condizione di funzionare perché occupato dal Covid e che il terrorismo mediatico aveva confuso l’attenzione dei malati No-covid. Adesso però profittando della ritirata significativa della pandemia virale, è giunto il tempo di fornire la dovuta risposta assistenziale, magari corredando l’operazione con l’impiego supplementare del personale utilizzando qualche soldo residuo dei tanti spesi per la pandemia Covid, a compensare qualche omissione del recente passato.
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