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Ruolo antalgico della musicoterapia (terza parte)

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Gentili lettrici e cari lettori, in questo numero di Moondo Salute ci rincontriamo per l’ultima parte della trilogia sulla Musicoterapia.

Questo nostro percorso si conclude con alcune osservazioni che hanno ricadute nella pratica clinica quotidiana quando si deve affrontare un sintomo, il dolore, che molto spesso è un sintomo, se non l’unico, di molte patologie e che altrettanto spesso genera o accentua una condizione di ansietà.

Anche se alcuni studi hanno dimostrato che la musica ha talvolta effetti limitati sulla percezione del dolore, coloro che studiano gli effetti antalgici di questa pratica terapeutica sono d’accordo nel raccomandarne l’utilizzo.

Le ricerche volte a definire il ruolo della musica nel ridurre il dolore e l’ansia hanno evidenziato che la musica è efficace in associazione alla terapia medica, indipendentemente dai trattamenti effettuati, con effetti nulli o irrilevanti sui parametri fisiologici.

Le scelte musicali operate dal paziente sono di fondamentale importanza, proprio perché i soggetti hanno poi risposte fisiologiche e psicologiche differenti in relazione alle loro preferenze musicali.

Ad esempio, se viene somministrata musica che non piace o che evoca ricordi spiacevoli, possono verificarsi reazioni avverse e risposte negative. La musica deve essere in accordo con lo stato d’animo e con il gradimento del paziente, ed è importante che egli svolga un ruolo attivo nella scelta musicale in collaborazione con il musicoterapeuta. In pratica, i risultati finali e positivi dipendono anche dalla disponibilità terapeutica espressa dal paziente, dalle sue propensioni musicali e dalla frequenza delle somministrazioni.

Gli effetti favorevoli della musicoterapia sono altresì spiegati facendo riferimento alla cosiddetta “sincronizzazione armonica”, espressione alla quale si fa riferimento quando si vuole sottolineare come la vibrazione acustica abbia un’azione diretta su organi e apparati; è noto infatti che l’ascolto di una musica melodica, con un ritmo lento e costante, è associato a diminuzione della frequenza cardiaca, facilitazione del rilassamento muscolare e diminuzione della tensione.

La musica può essere utilizzata come sedativo per ridurre i livelli di ansia e stress, con il risultato ulteriore di ridurre la somministrazione di farmaci psicotropi, una circostanza che risulta particolarmente utile nei soggetti in politerapia e che riduce i problemi di intolleranza e di interferenza farmacologica.

La variabilità dell’entità dell’azione terapeutica è dovuta anche alla diversa  capacità dei pazienti ad affrontare e sopportare il dolore, elemento costitutivo e parte integrante dell’individuo e della sua esistenza, al quale vengono attribuiti molti significati.

In una valutazione più estesa di natura etica, il dolore è stato spesso e a lungo associato all’idea di castigo. Ad esempio, nell’Antico Testamento, Dio si rivolge alla donna peccatrice con le seguenti parole: “Moltiplicherò le tue pene e avrai i figli nel dolore”. Nel Corano la mancanza di fede è colpita con l’avvento di “castighi dolorosi”. Nella fase barbarica della giustizia umana con il termine pena ci si riferisce al duplice significato di dolore e condanna. Questa idea di dolore inteso come castigo o punizione si è diffusa a tal punto da entrare nell’opinione comune delle persone.

Tuttavia, in epoca moderna, riscuote successo un’altra interpretazione secondo la quale il dolore non è un castigo da accettare supinamente, ma costituisce la connotazione che accompagna il male e lo distingue dal bene. Secondo questo modo di vedere, il dolore non deve essere subito, ma inteso come un segnale d’allarme da interrompere o eliminare non appena ha assolto il suo compito. A questo riguardo, la teoria di Cartesio secondo la quale il dolore ha un’afferenza centrale encefalica, è da considerarsi geniale e antesignana.

L’analisi biologica del fenomeno “dolore” conduce spesso a conclusioni analoghe. Il dolore è un dispositivo naturale nello stesso tempo fisiologico, poiché segnala danni e pericoli, e patologico, quando si associa o si trasforma in malattia. Ad esempio, protegge la donna partoriente, frenando la spinta del feto prima che diventi devastante per tessuti circostanti, segna il confine tra lo sforzo sopportabile dall’organismo e quello che invece lo spezzerebbe violentemente, avverte dell’esistenza di una patologia quando questa è ancora latente o incipiente, si manifesta anche durante la notte, quando sono sopite altre sensibilità in grado di segnalare i pericoli.

Il dolore si può però trasformare in patologia quando oltrepassa una personale soglia fisiologica, diventando una vera e propria malattia o un fattore aggravante di altra patologia. Diventa in questo modo controproducente perché può, ad esempio, aggravare le crisi cardiache aumentando la pressione del sangue e sottoponendo l’apparato circolatorio a un carico maggiore.

E’ in grado, il dolore, di rendere insopportabili molte malattie croniche, togliendo a chi ne soffre la capacità di reagire e, al limite, la stessa voglia di vivere.

La percezione e la gestione del dolore sono il frutto di una integrazione psichica raffinata e complessa che ne condiziona l’intensità. Ad esempio, attendere un dolore ingigantisce la percezione negativa di un evento semplicemente temuto. Al contrario, la rimozione del dolore, che si osserva durante un combattimento, anche in presenza di gravi ferite, permette una percezione inferiore della paura e dello stesso sforzo fisico, nonché dello stesso dolore.

Vi è, inoltre, un tipo di dolore non legato alla fisicità del corpo, quanto alla mente ferita da avvenimenti traumatizzanti. Mi riferisco alla perdita, ad esempio, di una persona cara o alla percezione di uno stato di inutilità, come avviene nella depressione endogena. Questo tipo di dolore, come peraltro anche di quello esclusivamente somatico, è meglio definito e identificato con il termine di sofferenza, ed è sempre e comunque un’esperienza psichica negativa e invalidante.

La comunità scientifica ha oggi conoscenze approfondite rispetto alla fisiologia del dolore e dispone di molte metodiche di intervento – invasive e non, farmacologiche, neurochirurgiche e psicologiche – in grado di opporsi efficacemente alla sintomatologia algica.

Sono moltissimi gli Stati che si sono dotati di strumenti sociali e legislativi per combattere il dolore, ivi compresa l’Italia che prevede interventi specifici a favore dei soggetti affetti da dolore. Va in questa direzione la legge n. 38 del 15 marzo 2010, che ha emanato le disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alle terapie del dolore, cui conferisce dignità di malattia e non solo di semplice sintomo.

Favorire la consapevolezza e la responsabilità nei confronti della richiesta di una terapia che allevi il dolore costituisce una decisione essenziale lungo la via della promozione dei diritti umani, specie in condizioni di malattia e di bisogno. La terapia del dolore, in altre parole, fa parte integrante di ciò che una persona può e deve aspettarsi dalla medicina e dai servizi sanitari pubblici e privati,

Dare voce al dolore, facendone oggetto di comunicazione nel contesto di un rapporto clinico, è una fondamentale strategia sociale e la risposta medica al dolore si deve integrare con quella culturale e deve ricercare tutte le modalità di intervento, tra cui la Musicoterapia, per ridurre, controllare e gestire le sensazioni dolorose.

Da molti secoli si conoscono i benefici della musica nel trattamento del dolore. La relazione musica-medicina emerge da reperti come i resti di antichi manufatti o dai riferimenti biblici, suggerendo che già anticamente erano noti i favorevoli effetti della musica sul benessere fisico in generale e sul dolore in particolare. 

Nella mitologia greca, ad esempio, la musica è pioneristicamente impiegata dagli dei per calmare il dolore e rinforzare lo stato psico-fisico.

Sin dall’antichità, inoltre, accanto alle droghe, la musica veniva utilizzata per indurre stati ipnotici, cercando di provocare un benefico effetto sulle sofferenze sia del corpo che dell’anima.

La Musicoterapia è utilizza l’elemento sonoro/musicale all’interno della relazione utente/operatore, in un processo sistemico di intervento con finalità antalgiche.

Gli elementi della fisica del suono incidono positivamente sul sistema psico-neuro-immuno-endocrinologico, la cui alterazione è responsabile di squilibri biochimici ed elettromagnetici. In questo ambito, la tipologia di risposta ricercata dalla Musicoterapia è l’ottimizzazione dello stato di salute, il suo potenziamento e il suo recupero. In effetti, sono questi gli obiettivi della terapia con la musica, intesa come metodo di intervento nel controllo del dolore di natura fisica o psichica.

Gli elementi costitutivi la comunicazione musicale per il trattamento antidolorifico sono la frequenza (l’altezza della musica), l’intensità (l’energia), la tonalità (l’armonia), l’intervallo (la melodia) e la misura (la durata nel tempo). Tutti questi elementi, nelle loro reciproche relazioni, influenzano lo stato psico-fisico generale di un paziente e ne condizionano la risposta.

Per esempio, una frequenza elevata (ossia un suono alto, acuto) agisce come un forte stimolo nervoso, mentre una frequenza medio-bassa ha un effetto più rilassante; a seconda dell’andamento ritmico, quindi, si possono suscitare comportamenti incontrollati o indurre rilassamento fino alla sonnolenza.

I benefici effetti della musica si trasmettono secondo il principio della prima ricordata sincronizzazione armonica, che dalla fisica delle onde si ritrova in molti altri fenomeni naturali. Secondo questo principio, due corpi che producono oscillazioni tendono a sincronizzare il loro ritmo oscillatorio e, conseguentemente, si generano effetti positivi su coloro che ascoltano la musica o che la eseguono.

La musica stimola l’attivazione di processi endogeni di rilassamento e di riduzione del dolore, come è dimostrato dalle registrazioni dell’attività elettrica evocata o dalla misurazione dei parametri fisiologici, come la frequenza cardiaca e il livello di pressione arteriosa

Le evidenze circa i numerosi effetti positivi realizzati dalla musica possono essere così sinteticamente riportati. La musica:

  • distrae e genera sensazioni piacevoli;
  • determina inibizione endogena del dolore, promuovendo il rilascio di endorfine;
  • rafforza il convincimento del paziente di potere controllare la sua sintomatologia dolorosa;
  • produce un benefico rilassamento muscolare.

Quanto di fondamentalmente diverso ha la Musicoterapia rispetto ad altre modalità d’intervento è la sua caratteristica di non fisicità, di potere essere “somministrata” dall’esterno per mezzo del semplice ascolto, di non esporre il paziente agli effetti negativi correlati all’impiego protratto di farmaci antidolorifici, senza essere in alcun modo invasiva o conflittuale rispetto ai farmaci.

Le possibilità di applicazione della musicoterapia sono davvero molte e tale metodica di trattamento è da considerare una potenziale risorsa terapeutica alla quale fare riferimento nei soggetti affetti da una patologia causa di dolore.

Sulla base dei dati finora acquisiti è lecito affermare che attraverso la tecnica musicoterapeutica si possono ottenere risultati molto favorevoli per quanto riguarda il controllo del dolore cronico, la qualità della vita e la capacità di migliorare i rapporti interpersonali dei pazienti con patologie dolorose. In questo ambito clinico non può non essere considerata la possibilità d’impiego della Musicoterapia nella fibromialgia.

La fibromialgia è una malattia reumatica molto frequente, che colpisce prevalentemente le donne, fra i 30 e i 50 anni, e che provoca dolore cronico diffuso in tutto il corpo e intensa stanchezza al risveglio. Fino a pochi anni fa questa malattia era considerata una “fissazione” di chi ne soffre e, pertanto, intrattabile; oggi sappiamo che si tratta di una condizione complessa caratterizzata, tra l’altro, da un abbassamento della soglia del dolore dipendente da anomalie funzionali delle vie deputate alla trasmissione del dolore, la cui percezione è più accentuata.

La musica, in conclusione, da considerare una risorsa terapeutica che dovrebbe essere offerta al paziente come strumento addizionale per il trattamento del dolore e che dovrebbe entrare a far parte dell’armamentario terapeutico del medico.






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