E’ forse troppo presto immaginare quale saranno le dinamiche che caratterizzano lo scenario sociale alla fine della prima pandemia del XXI secolo. Dall’inizio della diffusione del Covid-19 e, soprattutto a partire dalla sua diffusione mediatica alla fine del mese di gennaio 2020, il virus ha influenzato ogni narrativa sociale e culturale e ha dato una forma inedita alla realtà geopolitica mondiale. Una narrativa flusso, alimentata anche dalla confusa babele comunicativa nei social media fra fatti e fattoidi ossia fake news, fra la realtà delle cose fatte e le molte “patacche”, in cui sembra quasi che il virus possa avere contagiato la globalizzazione, con distorsioni diffuse, rallentamenti nello sviluppo e formazione di ulteriori attriti politici mondiali.
Ora, se è certamente vero che vi sia una profonda recessione nei valori delle economie globali e che siano nati nuovi e profondi attriti politici, sociali e culturali, è altresì vero che una simile narrativa, certamente logica e lineare, non possa essere l’unica possibile per comprendere quali potranno essere gli scenari nell’immediato futuro.
Certo la pandemia ha contributo a alimentare il dibattito sulle nuove e vecchie disuguaglianze sociali, sulla infinita fragilità dei sistemi sanitari nazionali, ma ha anche visto un inedito sforzo in termini di ricerca e sviluppo in cui una sorprendente attività interconnessa, ha prodotto tutta una serie di rimedi in un tempo brevissimo e mai visto nella storia della medicina contemporanea. Da questo punto di vista se si distoglie l’attenzione dalle principali narrative che vertono sulla globalizzazione come lo spettro cattivo della contemporaneità in cui il Covid-19 rappresenta il suo lato peggiore, si potrebbe anche immaginare che la pandemia abbia messo tutti gli attori istituzionali di fronte a una scelta in cui pensare a scelte ponderate e per un destino comune come vere accelerazioni della storia.
La drammaticità della realtà pandemica ha richiesto una crescita anticipata della ricerca scientifica applicata che potrà avere ricadute, in tempi abbastanza brevi, anche in altre patologie. Un sentire che ha improvvisamente accelerato il processo storico del XXI secolo, ponendo gli attori politici di fronte alla realtà della ricerca di risoluzioni immediate di problemi che, probabilmente, sarebbero stati affrontati solo fra dieci o quindici anni. Penso alla crisi ambientale, alla riconversione delle forme con cui assicurare una mobilità sostenibile, alla riconversione del patrimonio immobiliare e alle sue necessità di ridurre le risorse energetiche o, ancora, alla formazione e alla crescita personale degli individui.
Le città sono tornare al centro della vita, non più solo come i nodi di un processo di globalizzazione che produce disuguaglianze e esclusioni, ma anche come luoghi in cui ri-pensare una vita in comune. Anche nel dibattito politico nazionale la discussione sul metodo e sulle competenze sembra essere tornata al centro; dopo la triste, inconcludente e fin troppo lunga stagione dei “movimenti degli incapaci” che hanno alimentato un clima giustizialista costruito sull’odio, sul risentimento e sulla rabbia, si assiste, non solo in Italia, a un ritorno dei contenuti più impegnativi della politica, quelli che riguardano i cittadini e l’interesse generale. Non è la prima volta nella storia dell’umanità in cui una pandemia cambia la forma del mondo, modificando radicalmente il corso della storia. E’ già successo con la peste del trecento; la Spagnola ha modificato gli assetti geopolitici nell’Atlantico; oggi il dramma del Covid-19 impone di ripensare l’idea stessa di appartenenza dell’essere umano al pianeta.
Qualche anno fa a Firenze Marina Abramovich presentò a Palazzo Strozzi un suo visionario progetto artistico: we are all in the same boat. La vocazione dell’immagine dell’Artista è engagé: tutti sotto lo stesso cielo, tutti cittadini di un mondo senza confini, un mondo di cui prendersi cura, a cui appartenere, da difendere e abitare con coscienza e competenza. In fondo nelle parole dell’Artista vi è un richiamo netto all’impegno, ma anche all’essere generativi, nella ricerca di buone idee che possano assicurare una possibilità di sopravvivenza.
Navighiamo tutti sullo stesso pianeta, un pianeta che va custodito e protetto giorno dopo giorno non attraverso racconti costruiti intorno alla finzione e alle simulazioni o realizzati nell’approssimazione del “copia e incolla”.
Esistono solo i fatti e i fatti hanno una storia. La pandemia ha fatto vedere all’umanità che i confini non esistono (fatto) e che gli unici che esistono sono quelli che l’essere umano traccia intenzionalmente. Il Covid-19 porta tutti verso una serie di domande: quanto siamo disposti a modificare le nostre abitudini per un bene collettivo? Quanto siamo disposti a riscrivere le regole del gioco dei mercati economici in una prospettiva one heath. Il mondo non sarà più lo stesso e l’essere umano non si salverà se non si salveranno tutti gli esseri umani che vivono su questa terra. Per questo la scienza ci impone di leggere la storia, la storia del metodo scientifico in particolare, anche la storia recente, fattore di cultura: senza questa consapevolezza non si potrà uscire dalle trappole del facile e superficiale dogmatismo movimentista e dalle disperazioni dello scetticismo populista.
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