Sono ormai quasi due anni che il mondo è travolto da questa pandemia ed ancora non se ne intravede con chiarezza la fine. Nell’opinione pubblica del nostro Paese, pur prevalendo un senso di responsabilità abbondantemente maggioritario, si percepisce un sentiment misto di preoccupazione e di una sorta di fatalismo sulla cronicizzazione della epidemia e delle sue continue varianti del virus. Stiamo attraversando una fase ancor più difficile con la variante Omicron, e non è ardito preconizzare ulteriori varianti o addirittura nuovi virus al momento ignoti: la sfida per il futuro sarà contro nuove ondate di virus che si sommeranno alle patologie cronico-degenerative ed alle nuove criticità derivanti dagli effetti dell’antibiotico-resistenza.
In questo contesto di incertezza sulle prospettive epidemiologiche, incertezza che il sociologo Zygmunt Baumann ha descritto nelle società post moderne definendole come società liquide e dell’incertezza permanente (ovviamente riferendosi ai rapporti sociali e non alle situazioni epidemiologiche e sanitarie), emerge un dato che tuttavia ci consente di intravedere un elemento positivo ed è il grande senso di responsabilità che la stragrande maggioranza degli italiani ha dimostrato nei confronti della vaccinazione e del rispetto delle norme Anticovid. Tale risultato è frutto esclusivo della discontinuità delle politiche organizzative sul piano vaccinale introdotte dal Governo Draghi e dal Generale Figliuolo in stretta collaborazione con tutte le Regioni e gli operatori sanitari pubblici e privati. Purtuttavia, la disponibilità DEI CITTADINI non può essere considerata “a tempo indeterminato” ma deve essere alimentata dalle Istituzioni nazionali e locali adottando politiche sanitarie e sociali che correggano i gravi limiti del SSN e anche da una ritrovata unità d’intenti degli attori ed operatori sanitari: Ministero Salute, Regioni, ASL e Ospedali, operatori pubblici e privati accreditati , MMG e Farmacie….).
Sono molti, e particolarmente gravi, i limiti strutturali evidenziati dal SSN nel suo complesso. Limiti quasi “mascherati” dall’opinione pubblica che con slancio unanime ha “adottato” tutti gli operatori sanitari, motivandoli fortemente; ci riferiamo ovviamente ai mesi dell’ANDRA’ TUTTO BENE. Purtroppo, questo sentiment positivo si è sfilacciato a partire dalla fine estate 2020 quando le politiche governative hanno mostrato tutti i propri limiti ed errori gravissimi, e sono anche emersi fatti “corruttivi” nelle forniture ed appalti.
Nei primi mesi del 2020 ci siamo confrontati con un Virus sconosciuto: il SARS Cov-2 e la malattia che procurava il COVID 19. La comunità scientifica mondiale ha superato gelosie e reciproche diffidenze competitive e si è attivato un positivo clima di scambio e confronto scientifico rendendo disponibili e pubblici, non appena i vari gruppi di ricerca ne disponevano, dati validati. In sostanza, la comunità scientifica mondiale si è mossa come un vero e proprio “intellettuale collettivo”, con un atteggiamento meritorio poi sostenuto dai Governi e dalle Istituzioni, come la Comunità Europea, che hanno messo a disposizione risorse economiche “eccezionali” in aggiunta ai rilevantissimi investimenti dell’industria farmaceutica e di tutto il settore biomedico. In brevissimo tempo, i gruppi di lavoro hanno potuto disporre di una quantità di metadati e di software di intelligenza artificiale per poterli interpretare in tempi contenuti e neppure lontanamente confrontabili con i tempi lunghissimi che servirono, in un passato non remoto, per disporre di vaccini efficaci e testati su centinaia di milioni di individui con procedure accelerate (oggi possibili sia per la collaborazione mondiale che per la disponibilità di software di intelligenza artificiale che hanno amplificato a dismisura la capacità di analisi ed elaborazioni predittive in poche settimane). Come poi si è dimostrato sul campo, oggi disponiamo di vaccini efficaci a bassissimo tasso di complicanze. La ricerca è oggi concentrata sia nel potenziare e rendere più duratura la capacità di difesa dei vaccini attuali (per continuare con la profilassi di massa e renderli, per quanto possibile, efficaci almeno nei confronti delle varianti prevedibili), sia per individuare e sperimentare farmaci più efficaci e duttili rispetto agli attuali basati su anticorpi monoclonali.
In questa fase vi è stato, tuttavia, un gravissimo errore attinente proprio al cuore delle politiche e delle strategie operative che si devono adottare in tutte le emergenze gravi che coinvolgono centinaia di milioni di persone, soprattutto nelle società più sviluppate: la gestione delle informazioni e della loro comunicazione.
Se, infatti, all’interno della comunità scientifica vi è una metodologia consolidata ed una base di conoscenze ed esperienze comuni che consentono (almeno in via di principio) di valutare i dati scientifici con la prudenza necessaria prima di trarne deduzioni generalizzate, nella comunicazione “generalista” si deve tener conto delle regole della comunicazione di massa e delle sue tecniche.
In sostanza, se nella comunicazione di massa in un periodo di emergenza pandemica planetaria (e conseguentemente di stress, di paura e di incertezza collettiva) coloro che ne discutono nei media comunicano come se fossero ad un dibattito scientifico o politico e, sia che siano rappresentanti delle Istituzioni politiche e sanitarie sia che vengano presentati come specialisti, ne discutono come se si trattasse di un tema di economia o di un dibattito accademico, si ottiene rapidamente di confondere e disorientare demolendo la credibilità della comunicazione stessa e soprattutto delle Istituzioni dello Stato, delle Istituzioni sanitarie ed emergenziali e della comunità scientifica e sanitaria in particolare.
In questo contesto, la prima difficoltà palesata dal SSN – ovvero la grave difficoltà a rispondere prontamente alla pandemia in termini di adattabilità ai nuovi bisogni – deriva dalla eccessiva rigidità centralistica della programmazione della rete ospedaliera e dell’offerta cristallizzata nel DM 70/2015, non tanto per il numero assoluto di posti letto per acuti (tra ordinari, d.h. e di terapia intensiva) quanto per il modello ospedaliero. Un modello di ospedale vecchio e burocratizzato, ancora basato su reparti costituiti per omogeneità della formazione specialistica dei medici che li costituiscono. E’ ormai tempo di porre al centro di tutta l’organizzazione sanitaria il paziente ed i suoi bisogni. La medicina moderna richiede un approccio al paziente di tipo multidisciplinare e personalizzato e il paziente richiede un approccio olistico e continuativo, una presa in carico da parte del SSN durante tutto l’arco della vita. La separazione tra gli episodi di malattia e cura deve ritrovare, anche al fine di meglio soddisfare il paziente e rendere più efficienti e meno costosi complessivamente i trattamenti, una ricomposizione ed una visione unitaria per ogni persona. Oggi le tecnologie digitali rendono relativamente semplice tutto ciò; l’ospedale di oggi – e del futuro – dovrà essere organizzato per reparti per intensità di cure, prevedendo percorsi di cura per famiglie di patologie affini da assegnare ad équipe multidisciplinari specializzate. In sostanza, una organizzazione ospedaliera in grado di cambiarsi dinamicamente al variare delle priorità assistenziali e di poter riconfigurare funzionalmente gli spazi fisici. Un nuovo ospedale maggiormente in grado di superare la struttura attuale che ha reso molto difficile adeguare gli ospedali alle nuove esigenze poste dalla pandemia. Un ospedale integralmente digitalizzato nel quale muovere le informazioni più che i pazienti. Anche per i posti di terapia intensiva si è sbagliata la pianificazione del fabbisogno e non si sono neppure realizzati quei p.l. di subintensiva, da ritrasformare rapidamente in p.l. di terapia intensiva, ove fosse stato necessario.
Conseguentemente, ritenendo difficilmente prevedibile il fabbisogno di strutture di ricovero per acuti per patologie ancora non note, non resta che agire adottando un modello ospedaliero più flessibile e capace rapidamente di adeguarsi all’emergere di nuovi fabbisogni assistenziali. Un ospedale resiliente.
La attuale rigidità organizzativa ha rapidamente saturato i p.l. di terapia intensiva fin dalla prima fase della pandemia, portando le istituzioni sanitarie e politiche a tentare di ridurre l’afflusso dei pazienti in ospedale dando l’infelice indicazione di rimanere a casa in attesa dell’arrivo del MMG.
Una scelta comprensibile ma che si è dimostrata del tutto sbagliata.
Una scelta che ha reso ancor più evidente ciò che molti managers e medici del SSN avevano evidenziato da anni: la debolezza dei servizi territoriali e domiciliari, l’approccio ancora prevalentemente “prestazionale” anziché di PRESA IN CARICO del paziente, e soprattutto la esiziale contrapposizione tra ospedale e servizi extraospedalieri, attribuendo di fatto quasi esclusivamente al medico di medicina generale (MMG) il compito di integrare in un approccio olistico del paziente i diversi episodi di cura che lo coinvolgono nel corso della propria vita.
La seconda difficoltà palesata del SSN e delle politiche sanitarie è consistita, quindi, nella separazione (quasi giustapposizione) tra ospedale e servizi territoriali e domiciliari che ha evidenziato la grave sottovalutazione e debolezza della impostazione, quasi sempre di tipo prestazionale, nella maggioranza delle regioni.
Come correttamente indicato anche nel PNRR, il domicilio deve diventare il primo luogo di assistenza e cura. Il domicilio deve essereconsiderato un elemento costitutivo della rete individuale di assistenza in grado di scambiarsi dati ed informazioni con i servizi ospedalieri e territoriali (pubblici ed accreditati privati). Ancora una volta dobbiamo muovere le informazioni piuttosto che i pazienti.
Bene ha fatto il Ministero della Salute ad emanare linee guida nazionali per lo sviluppo e la diffusione della telemedicina. Saràinfatti sempre più possibile erogare presso il domicilio del paziente alcune prestazioni sanitarie oggi erogate solo in presenza, presso l’ambulatorio territoriale o ospedaliero. Sarà, così, possibile amplificare la capacità di assistenza, di monitoraggio e controllo da remoto del paziente e consentire agli operatori sanitari che si recheranno al domicilio di disporre di un accesso diretto ai dati del paziente ed anche a consulti in tempo reale con gli specialisti delle strutture di diagnosi e cura che hanno in carico il paziente. Ogni giorno vengono resi disponibili dalle imprese biomedicali nuovi strumenti, sempre più efficaci, portatili, e sempre più semplici da utilizzare.
Una terza difficoltà del SSN che la pandemia ha reso evidente è la necessità di ridefinire il patto terapeutico tra SSN e pazienti, o per meglio dire tra SSN, équipe di cura e singolo paziente. La società è cambiata, e continua nel suo quotidiano variare per adeguarsi alle evoluzioni del mondo, per le nuove opportunità di sviluppo ma anche per fronteggiare nuove sfide e criticità non conosciute. La pandemia ha evidenziato come l’incertezza e le incognite sui futuri bisogni di salute richiedano uno sforzo in gran parte nuovo, per ristabilire un rapporto di pieno affidamento tra cittadini e SSN; molte delle certezze del secolo scorso sono ormai superate, oggi i cittadini, pazienti e contribuenti al tempo stesso, chiedono di avere ben chiaro cosa otterranno da una prestazione sanitaria, sia essa di presa in carico complessiva che singola. Dobbiamo abituarci a dichiarare preventivamente cosa i pazienti potranno ottenere. Dobbiamo saper definire ciò che il SSN si impegna a darci. Superata questa emergenza pandemica ed in attesa della prossima, le politiche pubbliche, l’organizzazione sanitaria pubblica e privata, le comunità scientifiche e professionali, le forze sociali, economiche e politiche dovranno ridefinire il contratto che lega il cittadino alle Istituzioni in generale, ma a quelle sanitarie in particolare. Si dovranno definire obiettivi ed indicatori numerici per misurarne il raggiungimento e la soddisfazione del paziente. Solo così facendo potremo riconquistare anche la fiducia di quei cittadini che per paura o per ignoranza hanno avuto ed hanno ancora dubbi sui vaccini e più in generale sulle istituzioni sanitarie del nostro Paese.
Infine, una quarta difficoltà del SSN che forse non è apparsa così evidente è quella di una burocrazia asfissiante e di un coacervo di norme spesso incomprensibili, contraddittorie e nelle quali si cela il tranello del rispetto solo formale di tali vincoli a scapito dell’efficacia degli sforzi degli operatori. La riduzione del peso della burocrazia è certamente la riforma delle riforme del SSN. In realtà, solo in parte ci siamo accorti di questo peso durante la pandemia (moduli di autodichiarazione del primo lockdown a parte), perché da un lato la legislazione di emergenza ha ridotto molti lacciuoli inutili e quindi dannosi, ma soprattutto perché la grandissima parte degli operatori del SSN si è rimboccata le maniche ed ha gettato il cuore oltre l’ostacolo, riuscendo a mascherare le difficoltà con il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà (Gramsci).