Gentili lettrici e cari lettori,
ciò che vi accingete a leggere è la prima parte di un mio contributo dedicato alla Musicoterapia, un particolare forma di trattamento non farmacologico le cui radici sono molto lontane nel tempo.
Musicoterapia è un termine derivato dalla sintesi di musike (μουσικη) e terapeia (θεραπεία). Per musike s’intende una rappresentazione in parola, suono e movimento, laddove per terapeia si intende l’assistenza, la cura, la guarigione. La parola Musicoterapia è quindi utilizzata per indicare la cura di malattie che possono giovare degli effetti terapeutici dell’ascolto della musica.
Con la parola musica, in particolare, si identificano i fenomeni sonori più disparati, come le sonorità corporee, i suoni di oggetti e i rumori, non sempre organizzati e strutturati in modo tale da configurare un prodotto definibile, secondo i canoni attuali, come composizione musicale.
Sin dalla nascita veniamo a contatto con suoni che sedimenteranno in noi e formeranno il nostro Io sonoro. Ma probabilmente l’esperienza musicale umana comincia ancor prima della nascita durante l’immersione di nove mesi in un ambiente liquido attraverso il quale arrivavano vibrazioni che rappresentano un’importante e iniziale interazione del prodotto del concepimento con la madre e con il mondo esterno.
Il rapporto tra musica e medicina è molto antico e molto stretto. Da lungo tempo è infatti ben nota l’influenza del suono e della musica sul comportamento degli esseri umani e sin dall’antichità è stata intuita l’efficacia del suono, e del suono organizzato in musica, come strumento terapeutico.
Da questa intuizione i nostri antenati hanno tratto spunto per comunicare, attraverso la musica, con l’infinito e con il trascendente nel tentativo di trovare rimedi utili per la cura del corpo e dello spirito.
La storia ci racconta che un canto di scongiuro di medici-esorcisti dell’isola di Ceram era accompagnato dal suono prodotto da donne che utilizzavano simbolicamente come tamburo il proprio addome, la cavità attraverso la quale l’essere umano percepisce i primi suoni.
Nei rituali magici di guarigione, spesso al suono si accompagnavano il canto e la danza, a significare una partecipazione totale, diretta e coinvolgente alla pratica terapeutica affidata alla musica.
Il potere magico e misterioso del momento musicale determinò in molte culture e in molte civiltà la nascita e lo sviluppo di complesse pratiche rituali con finalità terapeutiche, molte delle quali sono sopravvissute, spesso immutate per molto tempo.
Musica, danza e canto ebbero un ruolo essenziale nei vari riti tribali individuali o collettivi che scandivano gli eventi più importanti della vita comunitaria e dell’alternanza delle stagioni, configurandosi come mezzi di comunicazione tra il membro della comunità investito di un ruolo sacro e le forze non materiali, tra il naturale e il soprannaturale, tra il visibile e l’invisibile.
Nell’antichità si faceva ricorso alla musica durante pratiche rituali con fini strettamente terapeutici per favorire una comunicazione diretta con gli spiriti maligni ritenuti causa delle malattie. La musica rappresentava una richiesta di aiuto o un mezzo terapeutico non indirizzati all’individuo malato e sofferente, ma allo spirito maligno dal quale il soggetto malato e sofferente doveva essere liberato. La musica serviva a ottenere l’eliminazione del fattore nocivo che aveva determinato la rottura dell’equilibrio fisico della persona in favore della quale si compiva il rito sonoro e a ristabilire l’ordine e lo stato precedenti.
Nelle comunità e all’epoca in cui si adoravano gli dei, le malattie, considerate eventi negativi da tenere lontani o da rimuovere, erano interpretate come una manifestazione di sfavore degli dei o una loro punizione conseguente a una violazione delle leggi che regolavano la vita della collettività.
Dal mondo antico, con il sorgere delle grandi civiltà e la fondazione delle città, ci giungono le prime testimonianze scritte, spesso frammentate e di difficile decifrazione, sulla considerazione e l’importanza della musica nelle varie cerimonie in cui gli ammalati si radunavano per implorare la guarigione dagli dei. Il malato, quindi, attraverso la terapia musicale doveva innanzitutto espiare la propria colpa e placare con manifestazioni rituali e musicali la divinità responsabile della sua malattia.
Con il passare dei secoli si comincia poi a osservare gradualmente un diverso atteggiamento nei confronti della malattia rispetto a quello delle pratiche terapeutiche affidate a stregoni generalmente autoreferenziati come guaritori e come tali riconosciuti. Inizia così a vedere la luce il concetto di malattia intesa come stato patologico organico, sebbene si continui per lungo tempo a credere che la causa di tale stato consistesse nella punizione per una qualche forma di peccato o di trasgressione della legge.
Ma torniamo a molti secoli fa. Platone, nella Repubblica, sottolineava l’importanza della musica e del ritmo musicale per l’educazione giovanile, conferendo loro una funzione etica e ritenendo che potessero contribuire alla calma interiore e alla serenità.
Per Pitagora le principali caratteristiche della musica erano tre: la prima è quella di favorire la capacità di adattamento dell’individuo, giacché la musica deve essere adatta alla personalità dell’individuo e nel contempo l’individuo deve sapersi adattare a musiche diverse e lontane dalla sua personalità; la seconda è quella di favorire il cambiamento poiché la musica può modificare lo stato d’animo profondo dell’individuo, consentendogli una maggiore accettazione di sé e un maggiore uso delle proprie capacità e possibilità; la terza è rappresentata dalla purificazione, perché la musica può contribuire a liberare l’anima e il corpo da tutto ciò che determina tensione e preoccupazione. In altre parole, la musica aiuta a essere flessibili, complianti e resilienti.
Aristotele evidenziava il valore medico della musica per la cura delle emozioni e affermava che la musica possiede un potere liberatorio, alleviante i sintomi e catartico delle tensioni psichiche.
Molto poco si sa circa l’impiego della musica a scopo terapeutico tra i Romani. Ciò che parrebbe accertato è che la musica prodotta dal cimbalo potesse avere effetti favorevoli sui disturbi mentali.
Il rapporto della musica con la psiche nella tradizione giudaico–cristiana, emerge nel racconto della Bibbiasull’afflizione di re Saul, primo libro di Samuele: “Intanto lo spirito del Signore si era allontanato da Saul e lo aveva invaso uno spirito malvagio da parte del Signore. Così quando lo spirito di Dio era su Saul, Davide prendeva la cetra e sonava con la sua mano; Saul trovava la calma, ne aveva un beneficio e lo spirito malvagio si allontanava da lui”. Secondo il racconto, attraverso lo strumento terapeutico della musica, Saul ritrova la sua identità e si allontanavano da lui le entità maligne.
Lo shofar della tradizione ebraica, corno a tre suoni non melodici, ha la capacità di ricongiungere con il padre (il passato) e di proiettare verso il futuro (il figlio che diverrà padre), realizzando quindi un percorso esistenziale continuo e continuativo, visto come momento omeostatico della vita non perturbato e in equilibrio.
Nel Medioevo la musica si congiungeva profondamente con la religione e il canto gregoriano ne diventa la massima espressione, costituendo una fondamentale modalità di relazione. Tuttavia non pare fosse attribuita alla musica una proprietà terapeutica.
Da una varietà di genti appartenenti a epoche e culture lontane che sopravvivono ancora oggi o che sono scomparse a causa della colonizzazione e dello sfruttamento economico, ci provengono testimonianze dell’importanza attribuita al suono e alla musica quali strumenti di comunicazione con il sovrannaturale per ottenere guarigione e salute.
In questo contesto, sacerdoti, sciamani, maghi, stregoni, streghe e cerusici sono, di volta in volta e a seconda dei popoli e dei tempi, gli indispensabili intermediari tra uomo e divinità affinché la musica possa svolgere, attraverso rituali di vario tipo, la triplice funzione religiosa, magica e terapeutica.
Con l’Umanesimo e durante il Rinascimento, la musica viene associata a medicina, astrologia e alchimia, per poi diventare vera espressione artistica nel diciassettesimo e diciottesimo secolo. Dal gregoriano in poi, grazie all’avvento delle potenzialità armoniche, comincia un’evoluzione e una differenziazione che sviluppano una visione scientifica e categorizzata dei rapporti tra musica e terapia. Sarà con il Romanticismo prima e con la psicoanalisi poi, che verranno ritrovati alcuni aspetti rispettivamente spirituali e psichici dell’esperienza musicale.
È comunque dall’epoca del Rinascimento che si consolida un rapporto specifico e definito tra musica, malattia e guarigione. Un rapporto che prescinde dal valore artistico della composizione, centrato esclusivamente sugli effetti che i suoni producono sull’individuo.
Il primo corso di Musicoterapia si tenne nel 1919 presso la Columbia University e nel 1944 al Michigan State College venne inaugurato il primo corso quadriennale per specialisti in quella disciplina.
I corsi si ispiravano al razionale dell’effetto terapeutico della musica: nella misura in cui il disturbo è considerato sintomo di un malessere la cui ragione va ricercata nella vita emozionale, mentale e spirituale dell’individuo sofferente, la musica può aiutare a ritrovare lo stato originario di benessere giacché, facilitando l’espressione delle emozioni, può essere consapevolmente e con successo impiegata per migliorare la qualità di vita.
La Musicoterapia diventa quindi una disciplina specialistica che utilizza l’espressione musicale quale forma di comunicazione non verbale. in grado di esercitare effetti favorevoli sulla sofferenza collegata a una malattia. La musica viene altresì proposta come mezzo per la stimolazione e lo sviluppo di funzioni importanti, quali l’affettività, la motricità e il linguaggio.
La Musicoterapia oggi è considerata una tecnica terapeutica che favorisce la costruzioni di relazioni positive tra operatori con specifiche competenze tecniche e pazienti disponibili a percorrere una via terapeutica alternativa o complementare a quelle farmacologica.
Quando si parla di musica in ambito musicoterapeutico non si fa riferimento a un insieme di suoni organizzati che si fondono in contesti armonici e melodici tradizionalmente intesi, ma piuttosto, al suono nelle sue componenti elementari primitive.
Gli operatori di Musicoterapia cercano di utilizzare l’espressione sonora, sia strumentale che vocale, per attuare un percorso terapeutico che vede nella comunicazione musicale un mezzo in grado di dare risposte terapeutiche a stati di sofferenza fisica o psichica di vario tipo.
Un elemento importante della Musicoterapia è la centralità del rapporto che si stabilisce tra paziente e musicoterapeuta. La relazione terapeutica si avvale perciò di una comunicazione effettuata prevalentemente attraverso il linguaggio della musica, termine con il quale in un contesto terapeutico si identifica l’intero mondo del suono, fatto di ritmo, movimento e vocalità.
Il grande sforzo degli operatori è quello di cercare di favorire un’armonia interna della persona sintonizzandosi con essa, per consentire l’instaurarsi di una relazione positiva e di riacquistare un equilibrio turbato.
La Musicoterapia si occupa della costruzione intenzionale di relazioni comunicative a fini terapeutici attraverso l’uso di due distinti elementi:
Il risultato atteso della pratica musicoterapica è quello di individuare, trovare e percorre un canale di sintonizzazione utile per la persona malata; il percorso può essere arduo per la presenza di numerosi ostacoli, tra i quali merita una particolare attenzione e un’indagine esplorativa preliminare l’indisponibilità della persona malata a essere parte attiva della procedura e a entrare in sintonia con la tecnica terapeutica e con chi la attua. L’ottimizzazione del rapporto persona-musica è fondamentale per il conseguimento dei risultati e per dare risposte positive di carattere sia psicologico che fisiologico; risposte che trovano le loro radici nel patrimonio nascosto di ciascun individuo e che l’esperienza musicale mira a svelare e a fare emergere.
I principi di base della pratica musicoterapeutica sono:
Oggi la Musicoterapia si configura come una modalità di approccio terapeutico sensoriale che utilizza l’elemento sonoro per finalità educative e terapeutiche intervenendo su disagi fisici o psichici e generando sensazioni piacevoli e rilassanti e di migliorare la qualità di vita.
La Musicoterapia è quindi per molti aspetti una forma di psicoterapia o rieducazione, che impiega il suono e la musica come mezzo di espressione e comunicazione e che può essere applicata in sedute di gruppo o individuali, con bambini, adolescenti, giovani, adulti e anziani. La musica ha infatti la grande capacità di entrare direttamente a contatto con tutti e in tutte le età.
La World Federation of Music Therapy (WFMT), nel corso del congresso mondiale tenutosi a Washington nel 1999, ha sancito e validato le basi scientifiche di cinque paradigmi clinici applicativi.
Tale metodo, sul quale ritengo di dovere spendere qualche parola di approfondimento, teorizza che ciascun individuo possiede caratteristiche e competenze sonore , che lo differenziano dagli altri sin dalla nascita, per via delle diverse informazioni acquisite attraverso l’ascolto di melodie e suoni durante i mesi di gravidanza. dalle esperienze sonore dalla nascita all’età adulta. È il concetto di identità sonora (ISO), un insieme di energie sonore, acustiche e di movimento che appartengono a ciascuno di noi in modo esclusivo r che rappresentano il vissuto sonoro e l’immagine musicale di ogni individuo.
Le energie sonore contenute in ogni individuo definiscono le seguenti quattro tipologie di ISO.
La metodologia musicoterapeutica basata sul principio dell’ISO ricerca l’efficacia di una comunicazione conseguente al passaggio di una energia comunicativa adeguata, armonica ed equilibrata, prodotta da un oggetto sonoro-musicale, direttamente proporzionale all’avvicinamento di tale energia all’ISO musicale del soggetto.
La Musicoterapia basata sul principio dell’ISO cerca una sintonizzazione, un riflesso, una rispondenza empatica tra musica e identità sonora del soggetto.
Lo strumento di comunicazione che ha potere terapeutico in una relazione con il paziente è definito oggetto intermediario. L’oggetto intermediario non deve creare reazioni di allarme, deve essere legato alla realtà ed essere malleabile in ogni situazione; è un trasmettitore oggettivo, adattabile ai bisogni del soggetto, identificabile come oggetto di relazione intima con il proprio sé, estensione della persona e facilmente riconoscibile.
Lo strumento musicale che prevale nella scelta è definito oggetto integratore, il quale è espressione dell’ISO di gruppo ed è connesso all’ISO culturale.
Benenzon definisce la Musicoterapia come la prima tecnica alternativa di avvicinamento alla comunicazione umana. Tale definizione comporta l’enorme influenza della fenomenologia relazionale madre-feto, madre–neonato, individuo-società. L’elemento sonoro-musicale acquista il significato fondamentale di variabile del mondo biologico e relazionale, che individua e realizza uno spazio di passaggio sonoro-musicale per una comunicazione condivisa.
Da quanto sopra esposto possono derivare le seguenti considerazioni conclusive.
Vi attendo al prossimo numero di Moondosalute, per intrattenervi su altri aspetti della Musicoterapia.
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