“La sinistra e la sanità, da Bindi a Speranza con in mezzo una pandemia” (Castelvecchi) è il titolo del mio nuovo libro, un pamphlet che non arriva a 100 pagine deliberatamente concepito per non fare analisi super approfondite, ma per provare, data la situazione drammatica in cui viviamo, a mettere il dito nella piaga o quanto meno a sollecitare una riflessione politica.
Ma in cosa consiste la piaga?
“Da una parte”, si legge subito all’inizio dell’introduzione del libro “la pandemia ci ha confermato ciò che sapevamo da tempo e cioè che vi è una grande necessità di una “quarta riforma”, dall’altra, la sinistra nel suo complesso, non è in grado di esprimere un pensiero riformatore degno della sfida” e poi, un po’ più avanti il paradosso che più fa male ad un riformatore convinto quale io sono: “perché il pensiero riformatore di sinistra trova nella sinistra il suo più grande ostacolo?”
In questi anni che le cose in sanità non sono proprio andate benissimo e che tante scelte politiche si sono rivelate nel tempo fondamentalmente sbagliate e persino dannose, (penso al titolo V, alle aziende, per esempio) ho tentato con pervicacia di proporre soluzioni riformatrici,(evito per brevità di citare i tanti titoli dei miei libri che comunque facilmente si possono consultare on ine ) ma davvero il primo ostacolo che incontravo sempre era proprio la sinistra riformatrice, quella al governo e a capo delle regioni, soprattutto, convinta che tutto quello che c’era da riformare era stato riformato, che il massino del pensiero riformatore era quello espresso dalle proprie politiche, che il lavoro da fare era quello dell’applicazione pura e semplice di ciò che stava scritto nelle leggi e che soprattutto prima della salute venivano i conti, i bilanci, quindi l’ idea del mondo che può essere unicamente amministrato e unicamente amministrato in un solo modo quello disponibile pur di amministrare a contro-riformare cedendo alle tentazioni privatistiche e neoliberali.
Quindi praticamente un orizzonte chiuso che non ammetteva limiti di sorta, un tetto cognitivo serio, che soprattutto riduceva tutta la complessità della sanità e della medicina a gestione, a amministrazione, e tecniche organizzative ,a economicismo ignorando gli aspetti culturali, quelli sociali, quelli formativi, quelli epistemologici relativi al modo di fare, di agire, di interpretare, quelli dei saperi in evoluzione, delle teoresi in cambiamento dei mutamenti di weltanschauung, e delle visioni evolutive della politica
Un orizzonte chiuso con una classe dirigente in linea di massima onesta certamente, ma non tra le più illuminate. Spesso, a parte le eccezioni, burocratica, poco colta, pescata dalla politica, per lo più culturalmente ignorante cioè addestrata al senso comune di un qualsiasi amministratore della cosa pubblica.
Quindi la “piaga” nella quale mettere il dito alla fine non è tanto la sanità, i suoi problemi , le sue complessità che pur vi sono ma è la politica che fino ad ora si è incaricata di gestirla, organizzarla, riformarla e anche contro-riformarla.
Una semplice meta-analisi sulle più importanti scelte politiche della sinistra in tema di sanità, fatte negli ultimi decenni ,rivela che questa politica ha limiti prima di tutto profondamente culturali nel senso epistemico del termine ciò ha problemi a leggere il mondo per quello che è a di intervenire nel mondo in modo adeguato.
Due esempi:
- ha sempre confuso i “problemi” con le “contraddizioni”, cioè le cose che per essere “risolte” non hanno bisogno di riforme ma solo di aggiustamenti con le cose che, al contrario, per essere “rimosse” non hanno bisogno solo di aggiustamenti ma di riforme culturali cioè di cambiamenti più profondi?
- ogni volta che le “contraddizioni” sono state ridotte a “problemi” quasi sempre si è finito per sconfinare nella controriforma e a volte nel pensiero neoliberale o comunque in una qualche lesione della natura pubblica della sanità?
Intervenire come se la sanità fosse un “problema” e intervenire come se essa fosse una “contraddizione” implica nel primo caso al massimo una politica di razionalizzazione, di gestione, di manutenzione, nel secondo caso una politica di riforma vale a dire cambiamenti in grado di rimuovere le contraddizioni in atto e quindi cambiare la realtà.
In questi 40 anni grazie a questo scambio epistemologico che ricordo riguarda il modo di affrontare la realtà sono emersi molti problemi e molti limiti riconducibili alla sinistra:
- un enorme limite culturale, (implementare una qualsiasi riforma non è mai un lavoro banale di applicazione) e poi “applicare” una legge e “attuare” una legge sono impegni culturalmente tra loro molto diversi;
- un “senso comune” prevalentemente amministrativo che alla fine ha dettato alla politica soluzioni soprattutto amministrative, ritenute ovviamente necessarie, uniche e irrinunciabili quindi senza alternativa (si pensi all’azienda, all’appropriatezza, agli scorpori degli ospedali, agli accorpamenti territoriali, ecc.)
- il preferire le scorciatoie, cioè le soluzioni più facili, rifiutando, a priori, con la scusa immancabile dell’emergenza e dei piedi per terra, le faticose strade del pensiero riformatore (si pensi solo al mondo del lavoro che è ancora oggi interamente pietrificato in un quadro giuridico, quello sostanzialmente del 761, che dire obsoleto è poco);
- errori gravi di valutazione politica, come quello che per rispondere alla spinta federalista della Lega, decide di contro-riformare il titolo V e alla fine senza definire davvero una governance adeguata alla complessità della sanità;
- omissioni pesanti come pensare di poter riformare la sanità senza per lo meno aggiornare la medicina e quindi i presupposti della formazione, congelando le prassi delle professioni come se fossimo ancora al tempo delle mutue.
- accettare di sottomettere tutto all’ideologia della compatibilità, alla fine accettando di rinegoziare a ribasso i diritti e di renderli economicamente condizionabili, incapaci di immaginare qualcosa di culturalmente e politicamente diverso diverso per esempio ciò che in questi anni è stato il mio orizzonte culturale di riformatore, cioè la compossibilità, idea base della mia proposta di “quarta riforma” con lo scopo di difendere i diritti trovando però tutti i modi non mortificanti per farli coesistere con il limite economico. Se la spesa sanitaria cresce chi ha detto che l’unico modo per governarla sia tagliarla? Perché prima di tagliare non si superano le sue anti-economie, le sue diseconomie, i suoi sprechi, le sue organizzazioni inutilmente costose? Perché fare “compatibilità” cioè adeguare il diritto alle disponibilità finanziarie anziché fare “compossibilità” cioè eliminare tutte le contraddizioni che esistono tra domanda e offerta?
Tutti questi limiti politici e culturali spiegano abbastanza bene perché anche di fronte ad una pandemia che ha messo a nudo le criticità del Ssn, la sinistra con un ministro di sinistra e questa volta con soldi da spendere, non è in grado di buttare giù una bozza di riforma ma balbetta soluzioni abbastanza insoddisfacenti.
E’ vero, in questi anni i concetti “riordino”, “riorganizzazione”, “razionalizzazione”, “potenziamento”, sono stati usati, soprattutto dalle regioni, come se fossero tutti sinonimi di “riforma”, ma in realtà senza esserlo veramente, anche se è innegabile che, essi, hanno introdotto dei cambiamenti importanti, ma quasi sempre però a contraddizioni invarianti (si pensi solo agli squilibri territoriali e alle diseguaglianze, l’accesso ai diritti, quindi ai Lea, ai criteri di allocazione delle risorse, ecc).
Le “regioni rosse” non c’è dubbio hanno fatto i salti mortali per applicare le riforme e per salvare la baracca, riuscendo a reggere per anni lo scontro con il sotto-finanziamento e quindi riuscendo ad amministrare praticamente l’impossibile.
Ma tornando al dito e alla piaga mi chiedo perché:
- nell’amministrare al meglio la cosa pubblica, nonostante tutto, noi di sinistra, non siamo riusciti a riformare quello che, difronte ai tanti, tantissimi cambiamenti del mondo, avremmo dovuto e potuto riformare?
- in certe regioni abbiamo amministrato e riorganizzato tanto ma riformato così poco, al punto che per, riuscire a amministrare, comunque e in ogni caso, non abbiamo esitato a prendere anche strade pericolose come le controriforme costituzionali, la privatizzazione, la centralizzazione della governance ecc ?
- gli ultimi tre ministri della salute, pur appartenendo ciascuno a forze politiche diverse, Lorenzin, Grillo e Speranza, rispettivamente riconducibili a tre diversi contesti politici del Paese, sono, nonostante le loro diversità ontologiche, così epistemicamente tutti drammaticamente uguali? Cioè perché costoro, nuance a parte, alla fine ragionano tutti allo stesso modo, come se tutti e tre fossero degli amministratori dell’ordinario cioè dei “finti riformatori”? Bluffer, nulla di più.
- ministri cattolici di sinistra come la Bindi, straordinaria figura politica del nostro Paese, nella sua riforma del ‘99 per mediare ad ogni costo sul problema della sostenibilità finanziaria, da una parte cede culturalmente così tanto alle ideologie e politiche avversarie (si pensi ai fondi assicurativi, all’introduzione dell’intramoenia, alla commistione pubblico privato, ecc.) e, dall’altra parte, pur investendo sul territorio sulla prevenzione, non le viene in mente perché del tutto inconcepibile, di riformare queste vecchie idee appiattendosi come tutti sul senso comune contro l’ospedale?
Cioè perché si è fatta la 229 o non un altro genere di legge?
Oggi in questo quadro e con la pandemia che ci perseguita, forse serve davvero mettere il dito nella piaga cioè dare corpo ad una riflessione sul “manico”, quindi sulla sinistra come soggetto riformatore mancato, bisogna farla. La posta in gioco è sul serio molto alta.
Devo dire che, dopo aver ascoltato la relazione di Letta in occasione della sua investitura a segretario del Pd, ho pensato: se si riuscisse a riformare il Pd come propone Letta scrivere un libro come quello da me scritto non avrebbe senso, o meglio tutte le questioni politiche poste dal mio libro avrebbero una soluzione quasi per magia, in questo caso in sanità:
- le contraddizioni torneranno ad essere contraddizioni quindi ad essere rimosse con dei cambiamenti riformatori
- i problemi torneranno ad essere risolti come aggiustamenti di quello che c’è.
Cioè se il Pd diventasse ciò che Letta auspica , vale a dire “progressisti nei valori, riformisti nel metodo e avere una radicalità nei comportamenti” il mio libro non sarebbe stato scritto invano. E io sarei felice di ciò.
Letta ha ragione, e la sanità lo dimostra, una sinistra solo di potere quindi fatta solo da amministratori che con le loro paranoie decidono con grande nocumento generale le politiche sanitarie nel nostro paese , non solo muore ma fa morire anche la sanità pubblica. Ed è quello che stiamo rischiando.
In questo senso la pandemia nostro malgrado è un formidabile banco di prova per la sinistra e la sanità
Sono convinto che, se sciuperemo l’occasione della pandemia per cambiare le cose che non vanno, sciuperemo un’occasione storica irripetibile.
Sono anni che, di libro in libro , dico che dovremmo tirare una riga, fare una sintesi ben circostanziata delle criticità, scrivere una “quarta riforma” nella quale sistemare tutte le nostre cose, tutti noi liberi di usare il nostro ingegno, le nostre conoscenze, le nostre esperienze, quindi di andare oltre i soliti schemi, i soliti opportunismi e le solite apologie, cioè di emanciparci financo dalle nostre “sacre” riforme, quelle che in questi anni abbiamo trattato, salvo controriforme, come se fossero verità scolpite nel bronzo quando ovviamente sono altro.
Se, neanche con una pandemia abbiamo il coraggio di essere e di pensare come sinistra allora siamo messi davvero male.
A me interessano due cose:
- che la sanità diventi più pubblica non meno e che continui a essere più universale di prima
- che la sanità sia sempre più adeguata (non appropriata) quindi ancora più coerente con i bisogni della società a aprtire da una necessità preventiva ricostruendo per questa strada un più forte grado di fiducia sociale.
Probabilmente, dopo che abbiamo raggiunto la fantomatica soglia di gregge, la sanità si troverà con i problemi di prima e più di prima, per di più a contendersi al momento delle leggi finanziarie le risorse che la spesa pubblica deciderà o non deciderà di rendere disponibili.
Questo momento probabilmente coinciderà con il confronto elettorale che avremo con le prossime elezioni politiche. Con quale sanità, dopo la pandemia, ci presenteremo ai cittadini? E quale sanità ci serve per risolvere i tanti problemi degli operatori, del lavoro, i problemi di funzionalità dei servizi ? Quale sanità quindi quale prevenzione per affrontare le future sfide epidemiche ?
Cioè riprendendo il core del mio libro :se la pandemia ha evidenziato tutte le criticità del Ssn e quindi se dobbiamo riformare questa sanità quale sinistra ci servirebbe?
Io non credo, a questo punto, che, a sinistra invariante, tanto i problemi della sanità che le sue contraddizioni possano essere rispettivamente risolti e rimosse. A sinistra invariante anche con i soldi del recovery fund continueremo a fare pasticci, a amministrare male , a massacrare i diritti, a sbandare verso il privato, e a far morire piano piano il Ssn.