Nel nostro Paese la Professione medica sta attraversando una fase di crisi che rischia di compromettere il futuro dei Servizi Sanitari stessi, fondati nell’esclusivo interesse della salute dei cittadini. Le cause di questa situazione sono molteplici.
L’evoluzione delle conoscenze mediche
La prima questione riguarda l’evoluzione esponenziale delle conoscenze mediche e delle potenzialità cliniche della medicina moderna, per la gestione della quale si è dovuto necessariamente fare ricorso al riduzionismo delle discipline mediche, incrementandone le specializzazioni, derivanti dal “tronco comune” delle discipline secolari, quali la clinica medica e clinica chirurgica.
Tale incremento ha determinato di fatto una frammentazione delle competenze sul malato, apportando certamente più qualificazione nelle singole branche. Tuttavia una tale nuova suddivisione di saperi e competenze non poteva non creare interferenze e sovrapposizioni, specie in carenza dell’attivazione di un monitoraggio guidato di un’adeguata coordinazione delle competenze delle singole discipline nell’ambito operativo.
Vale la pena di ricordare che la Medicina è e rimane una, comunque si declini la sua organizzazione, inoltre rimane sempre prima di tutto “pensiero”, quale rimando della “lettura” attenta del corpo, della mente e dell’animo umano, solo dopo può diventare ”azione”.
Negli ultimi decenni si è verificato un cambiamento radicale nel mondo medico, sia in ambito interdisciplinare che nella sfera relazionale medico-paziente tradizionalmente intesa. Al cambiamento determinato dal riduzionismo di cui sopra non è corrisposto un giusto adeguamento degli assetti organizzativi dei Servizi Sanitari, non è stata operata una opportuna integrazione e cooperazione dei “saperi” nell’ambito delle scienze mediche e non sono state attivate le opportune misure organizzative capaci di mettere a sistema il cambiamento stesso.
Nell’ambito delle organizzazioni sanitarie i processi diagnostico terapeutici, a seguito di ciò, avrebbero dovuto in questi anni innovarsi ed adeguarsi al cambiamento, mentre al contrario le organizzazioni sono rimaste ancorate ai modelli tradizionali, spesso addirittura accentuando linee e processi operativi a carattere “separatistico” e individualistico, anche questo può aver favorito il proliferare, forse eccessivo, di linee di pensiero autonomo nell’ambito del mondo medico cosiddetto ufficiale, ma anche la proliferazione delle cosiddette branche mediche complementari, che per molti versi tentano di integrare e superare i limiti sopra accennati.
L’applicazione della tecnologia in campo medico
Una seconda questione riguarda lo sviluppo esponenziale dell’uso della tecnologia e dell’alta tecnologia in campo sanitario che si è verificata negli ultimi decenni, il quale ha determinato un potenziamento notevolissimo delle possibilità cliniche di carattere diagnostico e anche terapeutico. L’ingresso della tecnologia nel mondo medico non solo ha potenziato la clinica, ma ne ha anche rivoluzionato gli algoritmi decisionali tradizionali, ponendo in crisi le basi stesse della metodologia clinica fondamentale, spesso accarezzando peraltro un’illusoria onnipotenza senza limiti.
L’uso della tecnologia invece avrebbe dovuto essere opportunamente interfacciato e verificato con la metodologia clinica classica, nel solo rispetto della quale è possibile conseguire una sintesi efficace e virtuosa dei processi clinici. Ad oggi questi elementi di necessarie e virtuose integrazioni non sono adeguatamente maturati e sono rimasti allo stadio di timide tendenze positive, come ad esempio la nuova concezione operativa delle attività in team e anche metodologie innovative che ruotano intorno alla tendenziale diffusa istituzione del PDTA.
Questi sono i due fattori che hanno determinato una sostanziale modificazione, quasi di tipo paradigmatica della medicina, talché alla sua elevatissima complessità naturale si sono aggiunti ulteriori elementi di complessità che hanno provocato una sorta di profonda crisi “di crescita” che, considerando la disponibilità degli accresciuti mezzi a disposizione, appare paradossale.
La crescita della spesa sanitaria
Ma nello scenario del cambiamento va considerato con molta attenzione che è anche presente una sorta di terza questione, rappresentata dalla crescita logaritmica della spesa sanitaria dovuta agli elevati costi della rivoluzione tecnologica, la quale ha di fatto determinato un “rimodellamento” non guidato dei processi operativi ed organizzativi ed ha generato un forte incremento dei costi, spostando in modo forte la posizione degli stakeholder nel pianta Sanità.
In sostanza gli alti costi di gestione dei Servizi Sanitari, peraltro ormai sempre in crescita per la loro rilevanza, hanno innescato inevitabilmente condizionamenti tali da assumere ormai un ruolo di fatto predominante nei Sistemi e nei Servizi Sanitari.
Tale predominanza traspare dal ruolo che sono in grado di esercitare alcuni attori che nello scenario controllano il settore dei beni e servizi e dalle dinamiche che ne scaturiscono. Questi elementi espongono il sistema sanitario a forte rischio di farlo scivolare in una sorta di subordinazione a tali attori, piuttosto che preservarlo per la naturale tutela della salute della collettività.
Una tale fenomenologia peraltro sembra già appalesarsi nel sistema. Questi fenomeni invocano politiche sanitarie più consapevoli dei pericoli non più accettabili cui sono esposti i Servizi Sanitari stessi, garantendo la vigilanza meticolosa sulle dinamiche dei processi, attivando opportune misure di controllo e istituendo entità capaci di essere “contrappesi” e “garanti in grado di bilanciare e riordinare gli interessi dei valori in gioco.
La stessa ricerca bio medica non è estranea alle dinamiche appena accennate, rendendo più acuto il pericolo del sovvertimento dei valori, come può accadere ad esempio ove si alterano anche le basi culturali delle prassi operative, uniformandole a linee guida e protocolli operativi applicati acriticamente senza tener conto della specificità di tutti i singoli casi e soprattutto del divenire vorticoso delle conoscenze scientifiche disponibili.
La formazione professionale del medico
La formazione di base del medico, tradizionalmente ancorata ad una formazione professionale prevalentemente tecnica e a dimensione operativa di tipo individuale, attende da tempo un adeguamento al grande cambiamento del contesto il quale impone, specie per la sopraggiunta grande complessità, un’integrazione del sapere di carattere squisitamente tecnico con la conoscenza e l’acquisizione di “competenze non tecniche”.
Il nuovo contesto impone al medico una crescita culturale e formativa specialmente nella sfera relazionale che a sua volta deve trovare basi solide di riferimento nella conoscenza della deontologia, dell’epistemologia relativa alla professione, delle regole della comunicazione interna ed esterna alle organizzazioni sanitarie, delle nozioni di managerialità e anche nella conoscenza degli assetti istituzionali.
Ad oggi non sembra che tutto ciò sia stato curato adeguatamente nell’ambito dei nostri Atenei, esponendo il medico al “non saper essere tale” in piena consapevolezza. E’ infatti nota la carenza diffusa nella conoscenza di quegli elementi della gnoseologia epistemologica della propria professione, che consentono al medico di avere sufficientemente chiari i fini delle proprie competenze, unitamente ai limiti e alle potenzialità del proprio agire professionale.
Tale carenza riguarda anche la formazione alla corretta ed appropriata comunicazione dei propri atti professionali, che non possono essere disgiunti da una buona conoscenza e dal rispetto delle regole della deontologia. Inoltre le competenze del medico nella sfera relazionale, sia che si rivolga orizzontalmente nell’ambito delle equipe che n e confronti degli utenti, deve essere potenziata con maggiore rigore e deve essere rigorosamente orientata.
Va puntualizzato che nella comunicazione del medico il contenuto tecnico è l’elemento fondamentale il quale, nella correttezza delle modalità con cui viene espresso, può talora essere decisivo in ordine agli esiti dell’intera parabola di un processo clinico. La stessa Deontologia Medica ha avuto premura di formulare nel dettaglio le regole della comunicazione medica.
Pertanto la formazione alla comunicazione del medico non dovrebbe essere delegata in toto ai cosiddetti professionisti della comunicazione, i quali possono essere preziosi ma solo in modo specificamente coordinato con i contenuti sostanziali in questione. In tema di formazione del medico sia riguardante il corso di laurea che la formazione specialistica post laurea è fondamentale che si tengano presenti gli aspetti sopra accennati ed è anche necessario restituire all’alveo naturale delle Università tale esclusiva competenza, superando l’attuale percorso della formazione, gravato da incertezze e in appropriatezze.
Una riqualificazione adeguata è ormai un’istanza che sembra essere invocata in modo spontaneo dai giovani medici ed aspiranti tali, i quali vorrebbero sottrarsi a determinate anomalie anacronistiche vigenti.
Le criticità che gravano sulla professione medica
Esiste una progressiva erosione dell’autonomia decisionale di carattere tecnico-professionale del medico dovuta ad una eccessiva interferenza nelle scelte organizzative o addirittura di squisita natura tecnico professionali, ad opera della componente politico-amministrativa nel contesto delle organizzazioni sanitarie che, travalicando i confini delle proprie competenze, non consente una serena e talora neanche efficace gestione dei processi.
Uno strumento in uso per imporre questa distorsione sono ad esempio i protocolli e/o linee guida “aziendali”, imposti in modo verticistico e a forte contenuto burocratico, spesso non coerenti con le conoscenze scientifiche disponibili. Tale prassi purtroppo sminuisce il ruolo professionale del medico, lo de-legittima, lo de-responsabilizza e svilisce l’atto medico, con inevitabili frequenti riflessi negativi sulla appropriatezza l’efficacia delle cure a danno dei pazienti e anche del clima operativo.
La tutela dell’autonomia e della indipendenza del medico in relazione agli atti di propria ed esclusiva competenza nel nostro Ordinamento è affidata all’Ordine professionale che, per quanto riguarda la professione medica, è stato in parte “depotenziato” anche dalla nuova normativa del gennaio 2018, cui bisogna mettere mano quanto prima.
In tema di valutazione del caso di colpa medica la giurisprudenza ha per lungo tempo ritenuto di avere un orientamento teso a giudicare l’operato dei medici non già sui mezzi posti in essere nella propria opera ma sui risultati. Tale orientamento, che ad oggi sembra abbastanza superato, ha tolto serenità all’agire professionale del medico negli anni in cui vigeva tale orientamento, considerando la natura e il fine stesso dell’opera del medico.
Purtroppo, in materia di responsabilità professionale del medico, dobbiamo prendere atto che non abbiamo ancora una disciplina di legge adeguata di riferimento, nonostante il timido e meritorio tentativo dell’ex Ministro Balduzzi e il meno timido ma inutile tentativo della Legge Gelli-Bianco. Pertanto possiamo affermare che la necessità di apportare serenità nell’agire del medico, anche attraverso un giusto supporto giuridico, non è stata ancora conseguita.
E’ forse questo un primum movens che ha innescato il fenomeno della cosiddetta “medicina difensiva” di cui si parla ormai da alcuni anni, tuttavia non sembra siano trascurabile l’incidenza in tal senso anche dei fattori culturali ed organizzativi di cui sopra. Inoltre e per certi versi in modo poco opportuno, può sembrare che parlare in modo semplicistico di “medicina difensiva”, possa rappresentare un tentativo goffo ed involontariamente auto-accusatorio di tutelarsi.
Tale tentativo sembra quasi teso ad esorcizzare le paure e le preoccupazioni, le quali trovano le loro ragioni invece in un grave disagio ad esercitare la Professione in un clima spesso ostile, gravato da pregiudizi diffusi e talora alimentati in modo strumentale.
La non appropriatezza percepita invece è riferibile a molti fattori: le organizzazioni sanitarie inadeguate che espongono paziente ed operatore ad elevati rischi rispetto alla sicurezza delle cure, il tecnicismo professionale esasperato, la comunicazione inadeguata e l’ossessione di applicare in modo acritico le linee guida e i protocolli aziendali.
La comunicazione rivolta ai cittadini dai mass media in materia sanitaria risente della esigenza di contemperare tutte le criticità di cui sopra con gli interessi di una editoria di riferimento che non è di carattere “puro” ma molto spesso ancorata a interessi degli editori che sembrano e molto spesso sono solo normativamente “legittimi”, ma non anche eticamente e deontologicamente.
Un travisamento piuttosto comune è per esempio l’equivocare la cosiddetta malasanità con la cosiddetta mala-gestione, oppure una tendenza a “scaricare” le responsabilità di eventi avversi sulla componente professionale, in quanto socialmente meno tutelata, piuttosto che sulle strutture sanitarie e sulle organizzazioni.
E’ possibile che tutti questi fattori abbiano indebolito un’intera Categoria professionale nella propria “coscienza” prima ancora che nella propria “scienza”, tale da renderla preda di iniziative improprie da parte di organizzazioni di altre professioni sanitarie, peraltro minoritarie nel mondo reale, le quali nei recenti anni scorsi hanno tentato di sovrapporre le competenze professionali, fino ad insidiare addirittura la competenza centrale e inalienabile del medico, quale è la formulazione della diagnosi con le conseguenti e imprescindibili indicazioni terapeutiche commisurate anche alle valutazioni di tipo prognostico.
Anche la separazione-frammentazione della categoria medica nell’ambito dei diversi settori operativi del Servizio Sanitario Nazionale, non facilita l’auspicata integrazione operativa sostanziale dei Servizi Sanitari, sia di tipo interdisciplinare che di tipo interprofessionale.
Il ritardo con cui si sta constatando questa situazione con i suoi dolorosi elementi involutivi, messi a nudo anche dalla pandemia ancora in atto, è senz’altro dovuto alla complessità del sistema come abbiamo visto sopra, ma certo vi è stata anche una pressoché completa assenza degli Organi di rappresentanza della Professione medica preposti al Governo della stessa, i quali sembra siano scivolati in una dimensione di rappresentanza di interessi di parte e di settore del tutto estranei alla Professione in quanto tale.