Geopolitica della pandemia

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L’Organizzazione mondiale della Sanità ha diffuso il 12 maggio del 2021 il molto atteso Rapporto su “Preparazione e risposta alla pandemia”, redatto da tredici personalità indipendenti che hanno indagato sul “tossico cocktail” di ritardi, scelte sbagliate, impreparazione tecnico scientifica e comunicativa che sono costati, al 28 maggio ’21, 3 milioni e 400.000 morti, 159.500.000 infettati e al momento- secondo stime ufficiali delle Federal Reserve e della BCE pressoché concordi- circa 2.000.000 miliardi di dollari, senza mettere in conto- ovviamente- il peso di chiusure, disoccupazione, costo del debito e necessità di investimenti per nuove e diversificate attività, che è previsto a fine 2025 ammonti a 22.000 miliardi (10.000 a fine 2021).

Il Rapporto, molto duro ed esplicito, non ha fatto sconti neanche al committente, l’OMS, considerata assieme agli Stati Uniti, alla Cina ed all’Europa nel suo assieme (UE e Regno Unito), senza dimenticare la Russia: condannabili tutti per l’”assenza di leadership politica globale aggravata da nazionalismi e tensioni geopolitiche”.

Scrivere nel Rapporto di un organismo tra i più influenti del sistema multilaterale che fa capo alle Nazioni Unite: “tensioni geopolitiche” è significativo non soltanto dell’estensione valoriale della geopolitica nelle dottrine politiche, quanto anche per la presa d’atto di quanto la pandemia abbia messo in risalto la ridotta spazialità del pianeta in cui viviamo.

Le responsabilità del sistema multilaterale sono addebitate alla impossibilità di divulgazione senza previ consensi di dati sensibili, o così considerati, degli stati membri che costringe l’Organizzazione a quantità di verifiche suppletive e complementari tali da rendere lente, nelle emergenze, le sue raccomandazioni, e quindi poco efficaci. È un fatto che soltanto l’11 marzo 2020 fu proclamato l’allarme “pandemico”, almeno due mesi dopo la ufficiale segnalazione che il virus aveva iniziato la sua opera distruttrice e quaranta giorni dopo la gigantesca quarantena che isolò Wuhan.

È un fatto che la protezione dei commerci e del turismo suggerirono alle autorità non tempestive restrizioni e misure precauzionali dei viaggi. È un fatto che comunicazioni contradditorie, confuse e spesso fuorvianti, alimentate anche da chi, appartenendo alla comunità scientifica, abbandonò il prudente, equilibrato metodo delle conosciute pratiche analitiche e di ricerca, per divulgare personali “intuizioni”, hanno contribuito non poco al disorientamento sociale ed a inappropriate scelte politiche.

Così come la pandemia ha esaltato la capacità tecnica e scientifica accumulata nei laboratori di ricerca, che hanno sfidato e vinto un tabù considerato inesorabile sui tempi necessari per la messa a punto dei vaccini, le fasi di sperimentazione e quelle di produzione e- almeno in un quinto del pianeta- di distribuzione, nello stesso tempo – come in modo severo e sconcertante ha sottolineato il Rapporto- il Pianeta piccolo e despazializzato non è stato in grado di muoversi coerentemente e nei tempi necessari.

Quindi può il mondo contemporaneo ignorare che le fragilità degli Stati e dei consessi multilaterali rendono, già ora e non per ipotesi future, necessario studiare quali strumenti decisionali, risorse e capacità di conseguire obiettivi forzatamente universalisti debbono essere impiegati per arginare a tempo disastri anzitutto umani, per il carico di dolore e turbamento che arrecano, ed anche economico e sociale in un mondo troppo piccolo perché sia possibile la salvezza di pochi e non la protezione di tutti?

Il Rapporto dell’OMS non per caso ha raccomandato la creazione di un “Consiglio globale sulle minacce sanitarie”, guidato dai Capi di Stato (e di Governo secondo le diverse Costituzioni), che decida maggiori poteri all’organismo multilaterale OMS perché si allarghi la possibilità di investigazione di nuove e purtroppo possibili crisi, costituendo un fondo di non meno di 50, possibilmente 100 miliardi di dollari per gestire adeguatamente i focolai di crisi al loro insorgere.

Abbiamo in questo anno assistito ad una sorta di diversificata esibizione di diverse arti diplomatiche ed economiche nello speciale Politeama che ospita la Comunicazione senza frontiere, il cui pezzo forte è stato rappresentato dalla “Diplomazia dei Vaccini”. La recita ha avuto un certo momentaneo successo ma il numero dei decessi e degli ammalati ne ha magnificato il fallimento. Al di fuori della storica e rispettabile Repubblica di San Marino, e poche altre realtà, il miracolante vaccino Sputnik V non ha superato molte volte i confini russi, anzi continua a mancare ai cittadini di quello Stato che lo ha proposto a chiunque, pur non avendone titolo, era disposto ad ascoltare e a reclamarlo; i casi di alcune Regioni italiane sono là a dimostrare tristemente l’accaduto.  Il vaccino cinese Coronavac ha avuto relativa maggior fortuna ma dovendo obbedire alle leggi della preparazione, infialamento, distribuzione e ai conseguenti costi non ha contribuito, se non retoricamente, alla variegata promessa di assistenza e cooperazione che è alla base della partecipazione al progetto “Via della Seta” che gli Stati aderenti s’attendevano.

Non si può non prendere atto che le dichiarazioni secondo cui “nessuno è al sicuro finché non siamo tutti al sicuro” sono ancora esercizio di enfatica magniloquenza, visto che l’80% dei vaccini in circolazione è stato sinora distribuito tra i paesi industrialmente avanzati e il 20% alla maggioranza degli altri Stati e, per la solita statistica casareccia del numero dei polli mangiati pro-capite in molti paesi , nella stragrande maggioranza degli Stati , soprattutto africani, è stato vaccinato un numero talmente esiguo di persone da renderne inutile il calcolo.

La Pandemia come soggetto geopolitico costringe i paesi industrializzati a mettere sul piatto della bilancia criteri e metodi diversi del calcolo degli aiuti. La Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale hanno dato attuazione all’ambizioso piano di monitorare, ricercare le soluzioni e rendere operative le azioni necessarie a realizzare l’agenda complessa del cambiamento climatico. I finanziamenti previsti a breve termine, nell’estate che sta per iniziare, sono oramai considerati possibili per l’assegnazione di 650 miliardi di Dsp (Diritti speciali di prelievo), ma non c’è ancora un punto fermo sulle idee finanziabili per 21 miliardi $ destinati ai paesi a basso reddito e per i 230 miliardi $ trasferibili ai Paesi in via di sviluppo, con l’esclusione ovvia della Cina. Per quanto attiene ai finanziamenti regolari, Fmi e Banca Mondiale sono restati, e questa è una nota positiva, coerenti ai piani pre-pandemia: restano disponibili entro le prossime due settimane i versamenti del 40% dei 104 miliardi$ per i paesi in via di sviluppo (il 60% è già stato erogato nel corso dell’anno). Il Fmi che si era reso disponibile sin dal marzo 2020 a collaborare alla difesa dal Covid-19 con 1000 miliardi$, trasformò la sua disponibilità in un impegno concreto di 110 miliardi$ e, ad un anno di distanza, ha effettivamente erogato la metà di questo importo; la sospensione, decisa lo scorso anno e prorogata per l’anno in corso, dei pagamenti dovuti al servizio del debito (Dssi) ha permesso a 46 paesi di differire il versamento di 12,5 miliardi $. A differenza del piano per il Clima l’operazione Covax, per la combinazione di diverse varianti, non è riuscita ad aiutare concretamente i quattro quinti del mondo, che è povero o fortemente disagiato.

Il Covax ha dimostrato che il denaro è importante ma non è sufficiente se non ci sono strutture pubbliche efficaci per valorizzare le risorse. Prima di tutto: le dosi – poche di fronte al bisogno- sono state distribuite solo a partire dal febbraio 2021, ma soltanto un terzo della bassa quantità arrivata è stata effettivamente distribuita. Covax copre soltanto l’acquisto delle dosi e non le spese di stoccaggio (che comprende la preservazione della catena del freddo) e quelle di trasporto e distribuzione. Sostanzialmente, mentre i paesi poveri non riescono a sostenere la spesa sanitaria normale per fronteggiare le campagne di immunizzazione di routine ed il Covid-19 ha aggravato il peso della necessaria risposta ai bisogni umanitari critici, il costo vaccinale diventa insostenibile e il rischio di un prolungamento dello stato pandemico – con varianti sinora non conosciute- altamente probabile per il moltiplicarsi delle occasioni di contagio nel Pianeta ristretto.

La geopolitica della pandemia suggerisce non soltanto di dar seguito alle raccomandazioni del Rapporto onusiano ma di studiare le necessità di finanziamento per i Paesi in via di sviluppo, attualmente 2,5 trilioni $ aumentando le risorse di cui sono dotati i sistemi di finanziamento internazionale e i sistemi della Banche Multilaterali di Sviluppo (Mdb) e cambiando innanzitutto la prospettiva degli interventi, significativamente nel campo indiscutibilmente prioritario della sanità universale.

In realtà il progetto di Sanità Universale fu affrontato dalle Nazioni Unite che nella Assemblea Generale del 2015 approvò gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile da conseguirsi entro 2030 (Sustainable Development Goals-SDGs). Gli SDGs contengono in forma appropriata una affermazione della essenzialità della Copertura Sanitaria Universale dei diversi Paesi del mondo (Universal Health Coverage-UHC). È bene ricordare che l’Italia per il tramite dell’Istituto Superiore di Sanità, presieduto dal professor Silvio Brusaferro, ha elaborato uno studio ( facilmente scaricabile dal Web col titolo “ Copertura Sanitaria Universale”) dove in 70 pagine sono state presentate da illustri ricercatori le analisi sulle diseguaglianze nell’ambito sanitario, compresa la difficoltosa raccolta di dati che rende complessa la comparazione dei valori, ma anziché accantonare il problema a tempi migliori, suggerisce “indicazioni tecniche e approcci strategici che possano contribuire al miglioramento delle politiche sanitarie per il rafforzamento dei sistemi sanitari” integrando “ aspetti rilevanti di documenti già prodotti e validati dalla comunità scientifica internazionale con strumenti e simulazioni per favorire riflessione e confronto tecnico scientifico”.

L’idea di fondo per il raggiungimento della Copertura Sanitaria Universale delle Nazioni Unite si è basata su due indicatori specifici: a) l’indice di copertura dei servizi per l’UHC (UHC Service Coverage Index-SCI), quindi la individuazione della percentuale di popolazione che ha accesso a sevizi che la comunità scientifica definisce essenziali; b) l’incidenza della spesa catastrofica per la salute Incidence of Catastrofic Health Spending -ICHS) ovvero la percentuale di popolazione costretta al sostentamento di spese per la salute catastrofiche a fronte del reddito. Gli economisti, soprattutto statunitensi, che hanno collaborato con l’ONU ( la Direzione Generale , soprattutto, per gli Affari Economici e Sociali e le Agenzie più direttamente coinvolte nello Sviluppo e nella Cooperazione) hanno studiato l’impoverimento a causa delle spese per la salute ( quindi la percentuale di popolazione spinta sotto la soglia di povertà) ed hanno suggerito un indicatore composito comprensivo dell’indice di Gini ( che misura i livelli di diseguaglianza nella distribuzione dei redditi) per raggiungere un grado accettabile di Copertura Universale.

Alcuni studi sono concordi nel valutare che l’impiego annuo dell’1% del PIL mondiale (2000 miliardi $) da destinarsi al Servizio Sanitario Pubblico Mondiale sarebbe in grado di far raggiungere al Pianeta elevati indici di sostenibilità, abbattendo malattie oggi praticamente scomparse nel Nord ricco del mondo ma che falciano i quattro quinti della popolazione planetaria e che contribuiscono sensibilmente alla insostenibilità che conosciamo e che eufemisticamente definiamo diseguaglianza.

Appare evidente che non sia un mero caso che in assenza della catastrofe provocata dal SARS-COV-2 del target sanitario dello Sviluppo sostenibile non avremmo avuto occasione di parlare al di fuori di un assai limitato gruppo di studiosi, ricercatori, medici e esperti di dottrine politiche. Negli Stati Uniti non è stata per nulla digerita la modesta riforma sanitaria voluta da Obama (Obama Care), che si è tanto mostrata inutile a fronteggiare la crisi pandemica, figuriamoci parlare di Sanità Pubblica Universale!

Eppure, la realtà espressa dal bisogno, fissata nella memoria cosciente dall’esperienza, ci invita a misurare le esigenze presenti col metro dei progetti per il futuro e non soltanto con il timore di alzare gli occhi verso il cielo per scrutare mondi che non essendo conosciuti intimoriscono, perché i limiti stabiliti sono più rassicuranti di quelli nuovi da stabilire.






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