Covid-19 e obesita’

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Con il diffondersi della pandemia d Covid 19 osservazioni preliminari hanno suggerito come l’obesità possa essere un’importante driver di ospedalizzazione e di mortalità nei pazienti affetti da tale patologia;  associazioni con l’obesità erano già state rilevate per virus respiratori come l’influenza a seguito della quale nei pazienti obesi si è osservato un più elevato rischio di ospedalizzazione e di morte, più elevati tempi di degenza e maggiore durata della ventilazione meccanica rispetto alla popolazione normopeso.  Durante l’influenza pandemica H1 N1 da virus A del 2009 numerosi studi segnalarono l’obesità come fattore di rischio per necessità di ospedalizzazione, ventilazione meccanica e mortalità; durante la diffusione di un’altra epidemia aprile 2012 ottobre 2015 causata da coronavirus nella sindrome respiratoria del Medio Oriente alcune segnalazioni scientifiche riportarono un’altra prevalenza di mortalità tra gli individui malati obesi

Dal report  di uno studio prospettico sulla epidemia da Covid 19 condotto dall’ISS italiano  su tutti  i casi di Covid 19 ,comprensivo dei pazienti deceduti  in tutto il territorio italiano fino a luglio 2020,  è emerso che dall’inizio della pandemia la popolazione anziana superiore a 60 anni era la più coinvolta e aveva pagato in termini di vittime il costo maggiore.  L’età media dei pazienti deceduti risultava pari a 80 anni (mediana pari a 81 anni) quasi vent’anni in più rispetto all’età mediana dei casi segnalati al sistema di sorveglianza integrata sui casi covid che era  pari a 62 anni: dall’analisi dei dati peraltro emergeva che i pazienti obesi colpiti da covid-19 erano significativamente più giovani (età inferiore a 60 anni) rispetto a quelli non obesi e presentavano una più elevata e significativa prevalenza di insufficienza renale acuta ,shock,  sovrainfezioni,  e come l’associazione dell’ obesità con complicanze non respiratorie fosse più forte nei pazienti più giovani rispetto a quelli più anziani. Ulteriori studi osservazionali hanno confermato l’evidenza di più elevato rischio di outcome avversi in popolazione di giovani adulti obesi ospedalizzati per covid-19.

Il 22 ottobre 2020 l’ufficio regionale europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha convocato un Expert meeting virtuale  con i rappresentanti di vari paesi (tra cui l’Italia) , per discutere il ruolo dell’obesità nei pazienti covid-19. L’obesità come sappiamo oggi è attualmente una malattia globale, l’epidemia non infettiva più vasta del Terzo Millennio con almeno  2,8 milioni di persone che muoiono ogni anno nel mondo a causa del sovrappeso o dell’obesità. In accordo con i dati di OMS l’obesità e la malattia covid-19 possono essere considerati entrambi epidemie globali; i dati mondiali degli ultimi mesi confermano il trend tracciato nei primi mesi della pandemia con outcomes della malattia covid-19 peggiori in pazienti affetti da obesità , con una significativa porzione di pazienti ricoverati nelle terapie intensive che sono in sovrappeso o obesi.  L’obesità predisporrebbe ad una più severa evoluzione della malattia da covid-19 secondo diversi meccanismi patogenetici.

Il virus Sars covid2 penetra nelle cellule tramite il legame della proteina S Spike virale con l’enzima che converte l’angiotensina II   ACE2 espresso sulla superficie delle cellule ospiti ; l’espressione dei recettori della ACE2 nel tessuto adiposo è stato visto essere più elevata rispetto a quella del tessuto polmonare il maggiore organo bersaglio del covid-19;  tali evidenze suggeriscono che il tessuto adiposo possa essere più suscettibile alla infezione da covid-19 e conseguentemente la popolazione obesa maggiormente dotata di tessuto adiposo risulta presentare più elevati livelli di espressione dei recettori per ACE 2. E’ stato inoltre osservato come l’affinità tra la ACE2 e il virus Sars covid sia più alta rispetto a quanto rilevato con precedenti coronavirus da ciò deriverebbe la possibilità che il tessuto adiposo si comporti da importante serbatoio virale concorrendo in tal modo alla diffusione del virus Sars COV 2 negli organi.

È stato Inoltre riportato che ridotti livelli di attività fisica, che spesso si associano all’obesità predisponendo a comorbidità come diabete mellito di tipo 2, avrebbero un ruolo determinante  nell’espressione dei recettori  per ACE 2 nel tessuto adiposo. A ciò si associano le segnalate alterazioni del sistema renina-angiotensina-aldosterone presenti negli individui obesi che determinerebbero un ulteriore squilibrio nell’ infezione da covid-19:  il fatto che l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 funga da punto di ingresso del virus nella cellula ospite e che i sartani e Ace inibitori possono indurre una sovraespressione di tale enzima, ha avviato un acceso dibattito circa l’utilizzo di tale classi di farmaci nei pazienti affetti da covid-19. Al momento peraltro non vi  sono, in mancanza di studi  clinici o epidemiologici, indicazioni a sospendere la terapia antiipertensiva i tali pazienti.

Interessante segnalazione è giunta dai risultati di uno studio di coorte in cui i pazienti obesi affetti da Covid  19 ospedalizzati mostravano una correlazione positiva tra elevati livelli ematici di angiotensina II è il grado di severità del danno polmonare derivato da monitoraggio della PO2e frazione di ossigeno inspirato e come sia stato osservato che i livelli ematici di angiotensina due si siano ridotti in risposta a una dieta ipocalorica.  Uno studio prospettico condotto a luglio del 2020 pubblicato su Circulation ha studiato  pazienti obesi affetti da covid-19 ospedalizzati in 88 ospedale degli Stati Uniti riportando osservazioni con importanti implicazioni cliniche per la salute pubblica:  in primo luogo i pazienti ospedalizzati per covid-19 con più elevato BMI (obesità di classe terza) mostravano un rischio più elevato di morte , maggiore necessità  di ventilazione meccanica, maggiore incidenza di tromboembolismo venoso e più frequente  necessità di terapia dialitica.  Questi pazienti obesi erano sostanzialmente più giovani rispetto a  quelli  normopeso ospedalizzati per Covid.  Anche in questo studio si osserva che la severità della patologia covid-19 e la probabilità di ospedalizzazione e morte erano in generale meno frequenti negli individui giovani rispetto a quelli più anziani ma la protezione conferita dall’età non si estende agli individui obesi di terza classe con BMI superiore a 40.  Veniva documentato un elevato tasso di arresto cardiaco, shock cardiogeno ed eventi avversi cardiovascolari maggiori  in tali pazienti   ospedalizzati obesi della fascia di età più giovane( inferiore a 50 anni ) suggerendo che la giovane età non rappresenti un fattore protettivo nemmeno contro le complicanze cardiovascolari dell’obesità  Inoltre un’associazione forte tra obesità e rischio di fibrillazione atriale (dati derivanti da studi osservazionali) è stata  segnalata  e la fibrillazione atriale è comorbilità comunemente presente nelle forme severe di infezione da covid-19 responsabile di una peggiore prognosi. Tra le principali cause di mortalità e morbilità tra gli adulti infetti dal virus SARS-cov-2 vi sono come noto  l’evoluzione verso la ARDS (sindrome da distress respiratorio acuto) e la ALI (acute lung injury). Entrambe queste entità cliniche sono caratterizzate da un quadro di insufficienza respiratoria dovuta all’eccessiva produzione di citokine infiammatorie. I dati scientifici riportati stanno dunque dimostrando come gli individui obesi (BMI> 30Kg/m2) affetti da virus SARS-Cov-2 siano più a rischio di sviluppare ARDS e di essere sottoposti a ventilazione meccanica confrontati con quelli normopeso (BMI tra i 18,5 e i 24.9kg/m2 ). Tale dato è in accordo con il pre-esistente quadro di alterata funzione polmonare presente nell’individuo obeso nel quale sussistono peggioramento della funzione polmonare  con riduzione dei volumi  respiratori e della compliance del sistema respiratorio con ripercussioni sui livelli di saturazione di ossigeno nel sangue. Le caratteristiche pato-fisiologiche dell’obesità che mediano tale disfunzione  sono infatti il peggioramento della meccanica respiratoria, l’incrementata resistenza delle vie aeree con peggioramento degli scambi gassosi, la ridotta forza dei muscoli respiratori.

Numerose evidenze scientifiche hanno dimostrato come il grado di severità dell’infezione da covid-19 correli inoltre  in modo direttamente proporzionale con lo stato di ipercoagulabilità , trombofilia e trombosi ; sappiamo Inoltre come condizioni cliniche di obesità e sovrappeso siano intrinsecamente associate a un elevato rischio di tromboembolismo venoso:  l’incremento dello stato di ipercoagulabilità e di trombosi riscontrabili nei pazienti affetti da covid-19  può anche essere  la risultante degli effetti additivi derivanti dalla presenza sovrappeso e obesità e delle infezioni del virus Sars COV 2

Per quanto attiene al sistema immunitario è bene ricordare che l’obesità è di fatto una patologia cronica che coinvolge e modifica la maggior parte dei processi fisiologici e dei sistemi dell’organismo incluso il sistema immunitario;  numerose evidenze scientifiche hanno segnalato che l’obesità aumenta il rischio di ospedalizzazione, il grado di severità clinica ed anche il rischio di morte associata a malattie respiratorie virali incrementando quindi la probabilità che l’obesità possa rappresentare un fattore di rischio indipendente per l’infezione da covid-19. Considerando l’aumento esponenziale della prevalenza dell’obesità nel mondo la conoscenza di come e in che misura l’obesità possa essere un fattore prognostico negativo per l’infezione da Covid 19 diventa un punto di snodo cruciale per tentare di garantire appropriati interventi profilattici nonché terapeutici verso questo nuovo coronavirus.  Le osservazioni che hanno segnalato come l’obesità si associ  a disfunzione del sistema immunitario con un aumento della suscettibilità alle infezioni hanno anche riportato alterazioni delle funzioni dei linfociti T con spiccato peggioramento funzionale delle loro sottopopolazioni negli individui obesi. L’obesità sarebbe dunque in grado di danneggiare il sistema immunitario alterano la risposta di citochine proinfiammatorie come la leptina che influenza l’interazione tra sistema immunitario e quello metabolico.  Inoltre l’infiammazione cronica presente nel  tessuto adiposo del soggetto obeso, influenza l’attività delle cellule dell’immunità innata e adattativa.  

In conclusione l’attuale pandemia covid 19 rappresenta un enorme sfida per tutti i paesi del mondo ma l’alta prevalenza di individui obesi nel mondo già descritta come minaccia per la salute globale costituisce probabilmente un’aggravante epidemiologica la cui componente economica e sociale ne potenzia l’impatto. L’attuale pandemia COVID -19 rappresenta una enorme sfida per tutti 1 paesi del mondo e probabilmente intuiamo appena quanto potremo subirne gli effetti negli anni a venire.

Appare imperativa la necessità di individuare soluzioni creative rapide per prevenire modelli dietetici sbagliati e favorire uno stile alimentare salutare, fondamentali per il nostro benessere e per favorire la nostra resilienza attuale e futura nel tentativo di ridurre il potenziale meccanismo di intensificazione dell’l’infezione da coronavirus Sars cov-2 soprattutto nei soggetti obesi.


Articolo derivato dal documento “Il contributo della Nutrizione Clinica nello scenario pandemico da SARS-CoV 2” edito da Regione Piemonte, Aprile 2021.






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