Il politico, sosteneva Aldo Moro, interpreta l’intelligenza degli eventi. La democrazia occidentale, così come noi la conosciamo, si è sviluppata armoniosamente (ah! le stupende lezioni di Luciano Canfora) sui valori filosofici e sull’esperienza greco-romana, meglio determinandosi nel corso degli ultimi secoli attorno a principi specifici che pian piano sono stati enunciati come diritti universali, celebrati- ed a buon titolo- come il visibile concreto risultato di due drammatiche guerre mondiali. Le democrazie occidentali (nate e sviluppatesi in Europa, innervate, irrobustite dai grandi processi riformatori del cristianesimo – da Lutero a Calvino dal Concilio di Trento al Concilio Vaticano II- e dalla straordinaria progressività delle scienze e della cultura che trasformarono il metodo e l’essenza del sapere esaltando la libertà dell’uomo) hanno prodotto in modo diverso regole di governo basate sulla rappresentanza degli interessi generali dei cittadini. Il politico contemporaneo è stato quindi incaricato di coniugare lo studio dei problemi (intelligenza degli eventi) al bisogno, espresso per il suo tramite da parti della società, di dare soluzione ai problemi generali col soddisfacimento- spesso parziale- di interessi settoriali.
Da tempo, prima della pandemia, questo metodo ha perso prima smalto poi, ai giorni nostri, ha smarrito quel sentimento, non facilmente descrivibile ma intuitivamente comprensibile, di rispetto che si basa sulla comune percezione della utilità della politica, trascinando inevitabilmente verso il basso la stima nei confronti dei politici.
Non è utile, ora, soffermarsi su situazioni particolari- al caso italiano è dedicato all’interno dell’articolo un paragrafo anch’esso forzatamente non esaustivo- ma è corretto sottolineare che l’osservazione empirica ci permette di affermare che là dove i cittadini percepiscono una sufficiente presenza delle Istituzioni, nonostante la valutazione sulla utilità della politica appaia opacizzata, l’espressione dei disagi è attenuata.
Da tempo il mondo “intellettuale”, assai limitato ed ancor meno letto, studiato, commentato, si interroga sulle ragioni che hanno provocato un cambiamento così profondo nella cultura e nei costumi, nei sistemi di comunicazione e nell’economia, nella trasformazione dei processi produttivi che hanno trasformato- a causa dell’Intelligenza Artificiale, dei meta dati, della nuova dimensione e qualità nei loro ambiti del 5G e del 3D, l’economia di scambio in oggetto di studio archeologico mentre a breve – senza averne- in sede istituzionali adeguate- approfondite ragioni e rimedi, si profilano disastri sociali e aumenti del tasso di non occupazione senza precedenti ( illuminante il paper del professor Sandro Trento – Università di Trento – assieme a Mariasole Bannò ed Emilia Filippi, pubblicato su “Stato e Mercato”, dic. 2021, secondo il quale l’Italia a causa dell’impatto delle nuove tecnologie perderà nel prossimo triennio sette milioni di lavoratori).
È sempre ardua la commistione di approcci economici e sociologici in termini universalistici per le variabili significative dei contesti istituzionali, dei diversi mercati occupazionali che rispondono in modo differente alle tecnologie di automazione generando effetti presumibilmente diversi per lavori manuali, non manuali e prodotti. Ciò posto, e fa bene il professor Sergio Bellucci, tra l’altro autorevole collaboratore di questa testata, ad insistere sulla assoluta urgenza di porsi la questione di come governare un cambiamento già in atto modificando i sistemi di rappresentatività e gestione democratica dell’Occidente in generale e dell’Italia in particolare.
Insomma, la rude realtà che in Europa ha, generalmente, isolato la sinistra negli agglomerati urbani più vasti e spesso nei centri storici, non è certamente generata da approfonditi studi socioeconomici ma dalla atavica, intelligente, essenziale volontà di sopravvivenza di un popolo, battezzato dal Papa con dannunziana e fortunata sintesi “scarto”, il quale ha capito che non si salverà con le improbabili felici decrescite auspicate da laudatores un tanto a benedizione. I liberals statunitensi, britannici, la sinistra europea non riescono ad affrontare il superamento oramai avvenuto della società dei due terzi e lo sfarinamento delle reti sociali e familiari che furono protagoniste delle rivoluzioni industriali e della fortunata crescita dei ceti medi. Le intelligenze delle periferie del mondo, delle grandi città, delle borgate non hanno modo di comunicare le loro paure e di ricevere rassicurazioni e progetti credibili per il futuro. Le Chiese cattoliche, i Templi cristiani, deserti o peggio chiusi testimoniano la difficoltà dei fedeli a comprendere il difficile lavoro che i vertici del cristianesimo si sono impegnati a svolgere al di fuori dei luoghi consacrati per una missione complessa di salvezza dell’anima e della carne. L’economia dello “scarto”, la crisi dei sistemi democratico rappresentativi, l’evanescenza dei luoghi ideali di raccolta ed analisi delle proposte risolutive delle questioni complesse che formano la sfera degli umani bisogni non sono stati causati ma evidenziati dalla Pandemia.
Nei tempi in cui Berta filava e non era possibile parlare di crisi della globalizzazione, c’erano i BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Il coro intonava: “Sono emersi gli emergenti!”.
Mentre Berta continuava a filare si aggiunsero sul palcoscenico i MINT: Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia. Il coro intonò: “Son pronti all’emersione nuovi protagonisti|!”.
Oggi il coro tace perché non riuscendo ad individuare il canapo della matassa è meglio gettarla in geopolitica, in timori di guerre più o meno stellari tra imperi che furono, che attualmente arrancano, che cercano di formarsi.
Una bella chiamata alla disciplina di squadra consente di mantenere momentaneamente l’Ordine, magari non Mondiale, addebitando qualche responsabilità in più alla Pandemia che di disastri ne ha provocati e ne crea già tanti e ben visibili.
In effetti il restringimento del commercio mondiale ha ovviamente indebolito le filiere che costituiscono l’ossatura delle catene di valore specialmente in determinati settori, ad esempio quelli basati esclusivamente sul commercio estero di materie prime. Prendiamo ad esempio l’Italia all’inizio della pandemia. Dover dipendere dall’estero perché impossibilitati a produrre in casa disinfettanti, mascherine etc. ha creato i problemi che tutti conoscono; immaginate cosa è accaduto in America latina, in Africa, in Asia. La volatilità dei prezzi ha innestato un nervosismo che è diventato in molte parti del mondo panico per lo stravolgimento dei valori legati allo scambio energetico, che hanno provocato a catena nella maggior parte dei paesi penuria energetica devastante per molte catene di produzione ed anche su servizi pubblici essenziali quali la sanità ed in futuro la crisi di una intera generazione che, dinnanzi alla chiusura delle scuole, sosterrà l’aumento del fenomeno già conosciuto dell’abbandono scolastico, impedendo il riassorbimento dei fragili nel mondo del lavoro ( quelli che hanno studiato chiamano il fenomeno Neet, cioè not in employement education or training; quelli che non hanno studiato si possono informare presso il sito dell’UNESCO).
L’accelerante pandemico ha messo lo sprint ad una tendenza già in atto: l’aumento del debito pubblico, soprattutto perché la Cina che già aveva precedentemente rallentato la sua disponibilità a regalare somme ai paesi emergenti ha smesso del tutto la nobile pratica capitalistica ed il debito globale è schizzato ad ottobre ‘21 ( ultimo dato a me disponibile) a 36.000 miliardi $;altro poco edificante esempio: la Turchia, paese assai impegnato in spettacolari presenze militari nel Mediterraneo e nell’Asia minore, è in gravi difficoltà, ed è costretta a svalutare in continuazione la sua moneta, perché non riesce a rimborsare quanto pattuito coi creditori. In contesti di crisi si accelerano le “regionalizzazioni”, un grato pensiero a Bruxelles ed ai padri fondatori, ma queste a loro volta affrettate dagli effetti del decoupling USA-Cina, emarginano, nonostante il conosciuto “rimbalzo” mondiale, molti paesi dalla crescita, perché riconvertire gli approvvigionamenti operando diversificazioni a basso costo è molto difficile se non impossibile. L’esplosione dell’impiego competitivo dell’intelligenza artificiale, dell’informatica, dei metadati, dell’uso di complesse metodologie produttive, vale a dire l’innovazione tecnologica che aumenta quotidianamente in maniera esponenziale, automatizzando prepotentemente interi settori, ha causato crisi un tempo, ieri, non immaginabili: penso alla carenza di microchip ed alla necessità di sfruttamento delle così dette terre rare.
Chi ha la straordinaria fortuna di avere la salute sufficiente ed il coraggio dettato dalla necessità di recarsi ad acquistare i prodotti alimentari ha notato l’aumento straordinario dei prezzi legato ai noti fenomeni di diminuzione della produzione agricola interna e del forzato aumento del costo, circa il 20%, di beni essenziali provenienti da paesi emergenti (grano, zucchero, caffè, solo per citarne alcuni). Energia e prodotti alimentari sempre più cari chiaramente creano squilibri sui mercati nazionali dei paesi a reddito medio, fanno ripiombare nel buio pesto i paesi emergenti, che- a loro volta- appesantiscono le contraddizioni dei paesi più industrializzati.
È prevedibile un significativo aumento del tasso di povertà globale che allontanerà il raggiungimento degli obiettivi sostenibili, i 17 punti individuati dall’ONU nel 2015 per il conseguimento dei “Sustainable Development Goals” che si prefiggevano entro il 2030 impatti essenziali per la salvaguardia del pianeta, la vita dell’uomo e lo sviluppo economico. È ancora più evidente quanto sia stato complesso il ruolo italiano e specificatamente di Mario Draghi per il riaggiornamento degli obbiettivi nei tempi e nei metodi, grazie ad un difficile compromesso, nell’appena passato G20 tenutosi a Roma.
Se, come abbiamo visto, l’accelerazione di contradditori elementi insiti nella globalizzazione ha fatto emergere la fragilità di diverse aspettative della rivoluzione liberale, mi sembra che la complessità degli eventi presenti e futuri obblighi ad una riflessione su un fatto accertato e che accennammo all’inizio dell’articolo : là dove si manifesta la disaffezione alla politica ma lo Stato, le Istituzioni godono di un certo rispetto , sono considerate affidabili ed il consenso sociale sostiene quello che non supporta il consenso politico. Come al solito parleremo dopo dell’Italia, ma soffermiamoci sul nostro spazio vitale: l’Europa, oramai soltanto continentale.
La Pandemia suscita paure col suo carico di emozioni, di passioni, di incertezze, di bisogni insoddisfatti, di certezze sbriciolate in un attimo, di oscuri presagi, di vaticini contraddittori sparsi generosamente da una stampa confusa e oramai trascinata in terre sconosciute da imbarazzanti personaggi ( a sentire tutti quanti questi “virologi” verrebbe da domandarsi se davvero l’Italia manca di centri di ricerca scientifica, poi ci svegliamo dall’ipnosi e cambiamo canale); la politica che non prevede e ha difficoltà a comprendere la scienza non appare affidabile. Le tecnocrazie che funzionano , dall’economista Draghi al generale Figliolo, visto come “Forza Armata”, ha reso le popolazioni meno ostili a Bruxelles, intesa come Unione che sostiene gli Stati membri; ha indicato una linea di resistenza ed una speranza di riscatto economico e sanitario; ha tolto la polvere dall’immagine invecchiata degli Stati forti che ha favorito fino al fallimento l’idea tanto cara ai liberal conservatori di “stato leggero”, perché i paesi dove gli Stati con istituzioni organizzate a rete funzionano su tutto il territorio nazionale hanno contrastato meglio degli altri la crisi socio-sanitaria.
Lo Stato efficace in Europa e in alcune parti nel mondo ha tranquillizzato i cittadini, gli stati inefficaci li hanno spaventati. Brasile ed India, per esempio, sono state, non soltanto apparse, impreparate e non hanno saputo esprimere risposte convincenti. La Colombia, che soltanto lo scorso anno lavorava per entrare nell’OCSE, appare travolta dagli avvenimenti così come il Messico e l’Argentina.
Seppure il buon metodo di calcolare col peso buono ogni azione che sia utile ai propri concittadini, non può sfuggire che si sta “pacificamente” affermando un presupposto positivo a democrazie “autoritarie”. L’Unione Europea è riuscita , grazie anche uno sforzo diplomatico della Francia e dell’Italia, non ostacolato da Berlino- forse anche per il cambio di governo dovuto alle elezioni in Germania- a contenere le spinte identitarie ribelliste, ad impostare una adeguata protezione vaccinale ed a proporre aiuti economici sufficienti per mettere in sicurezza la democrazia di sistema, “coartando” i paesi del patto di Visegrad a percorrere strade non conflittuali con il sistema centrale di decisione dell’Unione in attesa di un nuovo necessario Trattato, che manterrà come parte essenziale di partecipazione alle Istituzioni l’adesione non formale a democrazie non autoritarie.
Appena poco fuori dall’Europa continentale, passato il Canale, a Londra, la capitale dove ha sede l’organizzazione intergovernativa di 54 Stati indipendenti, accomunati dalla passata appartenenza all’impero britannico, denominata Commonwealth, molto si discute sulle limitazioni proposte da Boris Johnson che mettono in discussione alcune libertà, usi e costumanze; sulle proposte governative che limitano il ruolo di controllo dei giudici ( non ditelo a Travaglio sta soffrendo molto in questo periodo e la notizia potrebbe essergli fatale) e su alcune modifiche alla legge elettorale. Nella storica patria del liberismo il capo del governo, scottato dai disastri provocati dalla Brexit vuole modificare l’attuale legislazione per rendere più costoso e complicato intraprendere un’azione legale contro “un ente pubblico”. Gli effetti, altrettanto disastrosi, della lotta alla pandemia sono l’altra ragione che spinge la maggioranza che gode attualmente di ben 80 deputati in più della minoranza, di limitare la facoltà dei giudici ad intervenire. D’altronde in Gran Bretagna non esiste una Costituzione scritta ed il potere giudiziario non gode di garanzie.
Seppure appaia un contrappasso dantesco che l’Inghilterra periferica e rurale abbia imposto la Brexit sostenendo che la Commissione e l’Europarlamento non fossero sufficientemente democratici rispetto a Westminster, quello stesso popolo rurale e periferico, antieuropeo perché profondamente identitario scopre oggi che il “suo” governo gli chiederà la carta di identità per andare a votare. Chi non ha frequentato la Gran Bretagna non sa che dall’altra parte del Canale la carta di identità non è mai esistita e questo documento è sostituito con una patente o un passaporto che costano almeno millecinquecento sterline, millesettecento euro, troppo per chi vive con contratti a zero ore, oppure guadagna otto euro l’ora. Nei fatti una chiara indicazione ai laburisti ed ai “populisti” di starsene a casa e di non andare a votare nei nuovi collegi ridisegnati di conseguenza.
Potenza del prezzo della paura che impedisce proteste, manifestazioni ed altre opposizioni.
Non è, come è noto che le cose dall’altra parte dell’Atlantico stiano meglio. Sarà necessario scrivere un articolo a parte per ricordare la terribile involuzione democratica negli Stati Uniti, nonostante la vittoria elettorale che giorno dopo giorno vede assottigliarsi il consenso per Biden e la vicepresidente. Basterà ricordare che a quasi un anno di distanza i terribili errori di Trump nel fronteggiare la Pandemia non sono stati risolti in alcuni stati chiave del consenso e dello sviluppo americano, come, ad esempio lo Stato di N. York.
In sintesi possiamo affermare che la crisi in atto della rivoluzione globale, che ha minato lo stesso concetto di sovranità territoriale degli Stati, ha costretto prima gli stati , sia quelli “forti”, sia quelli “leggeri”, come quelli retti da autocrature, a scegliere prima una improbabile diplomazia dei vaccini , che molto ha sconcertato le popolazioni chiamate da imbonitori d’ogni tipo ad esprimere impossibili giudizi tecnici sulla validità degli stessi, poi a affrontare concertazioni d’area per la fabbricazione e distribuzione dei vaccini che erano ( e tali si sono dimostrati) sicuri ed efficaci, seppure- come è ovvio- non definitivi nell’annullamento di un virus che sembra destinato nelle sue varianti ad accompagnare per lungo tempo la nostra vita ( magari non la mia e quella di chi si trova nella mia “fascia” un po’ più corta data l’età e qualcos’altro, ma è il pensiero che conta).
L’Italia, senza tornare indietro alle ragioni della falsa rivoluzione del 1992/94, ha partecipato appieno all’ossessiva ricerca, fallita la rivoluzione liberale del nuovo Ordine Mondiale promesso dalla globalizzazione, al gioco politico suicida del secolo: “l’identità”; somigliante all’araba fenice, perciò che vi sia ciascuno lo dice ma dove si trovi nessuno lo sa.
È da tempo che nel nostro paese i valori etici (non c’è politica senza etica; invito sempre a leggere e rileggere Norberto Bobbio) e tra questi quelli di eguaglianza, di partecipazione sociale, di libertà politica , di esercizio reale e non retorico dello stato di Diritto, sono stati viziati dalla concorrente affinità d’azione del conservatorismo e del neoliberismo, mentre l’evaporazione della sinistra formalmente arroccata nella cultura pontificante del politicamente corretto, gestita con drammatica convinzione di serietà da un cattocomunismo ancien régime sempre alla ricerca di un Centro perduto inteso come mediazione tra il passato ed il futuro, dedicato alla difesa di legittimi interessi personali qualificati come “diritti” universali, incapace di mettere in discussione la crisi di classi sociali e dirigenti che vivono al calduccio di un sistema politico che, soprattutto negli ultimi decenni, ha garantito il suo sempre più esiguo consenso sociale alla garanzia di immobilità fornita non dai poteri a fare ma dai contropoteri che, categoria per categoria, contrattano i propri interessi a spese- oramai insostenibili- della comunità.
La pandemia ha dimostrato che la repubblica frazionata è incapace di difendere i suoi cittadini. La babele cacofonica degli interessi regionali ha sconcertato gli italiani che alla fine hanno dovuto per due anni, giorno per giorno, vedere che al dunque le strombazzate velleità federaliste attentano alla spesa pubblica non generano efficacia. Temo che i movimenti leaderistici che ci governano non abbiano letto l’aumento costante dell’astensione, oramai superiore al 50%, come sfiducia reale nella capacità generale dello stato a più poteri divergenti di difenderli quando c’è di mezzo la vita e la necessità di sopravvivenza economica.
La sinistra che non c’è fa fatica a comprendere come la rivoluzione in atto ha modificato i parametri culturali formatisi durante il trionfo della società di mercato, degli imperativi del consumo, della competizione economica individuale e tra stati. La pandemia ha agevolato il declino, in Italia come in Francia e in Germania, della carica antisistema avversaria dei tecnici, degli intellettuali, dei corpi intermedi, della burocrazia – anche sanitaria- che, a differenza di chi predicava e praticava l’uguaglianza del non sapere al conoscere e ben praticare, si è spesa spesso con sacrificio, a favore dei bisognosi di cure e di assistenza, ha aperto la strada alla meditazione di fatti una volta volutamente ignorati.
Oggi sappiamo che la Germania dedica alla spesa sanitaria l’11,4% del PIL (3.449 mld €); la Francia l’11,3% di un PIL calcolato nel 2020 in ben 2426 mld; l’Italia soltanto l’8,7% del PIL, sempre nel 2020 corrispondente a 1790 mld €. Sia in termini relativi che assoluti la nostra spesa sanitaria è molto bassa, per di più sostanzialmente divisa, grazie allo strapotere regionale, al 50% tra strutture pubbliche e private.
Nel Bel Paese dei sussidi a pioggia il 54% della spesa pubblica, pari a 510 miliardi, copre assistenza, sostegno al reddito, sanità e pensioni. La spesa sanitaria è stata pari a 115,45 miliardi. Per fare un esempio, alla luce della pandemia meglio comprensibile, ogni cittadino teoricamente soggetto a contribuire in modo proporzionale all’erario è costato in media 1930 € pro capite.
Il fatto è che 23,7 milioni di contribuenti su 41,5 milioni dichiara al fisco meno di 20000 euro lorde l’anno e soltanto questo altissimo numero di cittadini “riceve” dallo stato regionalizzato 65,8 miliardi, in base al principio secondo il quale ciascuno di noi ha a carico una percentuale di cittadini a vario titolo senza redditi (1 =1,4) e quindi 23,7 vanno calcolati 34,1 milioni di cittadini. Il che significa che bisogna andare a controllare quanto pagano i contribuenti compresi nella fascia di reddito tra 20 e 35000€, essi sono computabili in 17,7 milioni di cittadini e “costano” 34,3 miliardi, ed anche i loro contributi non bastano ad autofinanziare la loro spesa pubblica sanitaria. Occorre appellarsi al 13% dei contribuenti, calcolabili col solito sistema in 4,9 milioni di cittadini, che versano da soli 67,8 miliardi, costano per sanità, assistenza ed istruzione 35 miliardi, e vanno a coprire con 32,7 miliardi il debito lasciato solo per la parte sanitaria dalla stragrande maggioranza dei contribuenti. Poi, fortunatamente, ci sono 502000 cittadini che dichiarano più di 100000€, costano 3,5 miliardi e versano 33,7 miliardi€.
Calcolando tutte le voci della spesa pubblica e le entrate scopriamo che oltre l’IRPEF, che è la più importante tra le voci delle entrate, lo stato incassa 25,2 miliardi dall’IRAP, 35 miliardi dall’IRES, 8,3 miliardi da imposte sostitutive; in totale 70mld€. Mancano ancora 49 miliardi che vengono “pescati” dalla imposizione indiretta, l’IVA, che vale assieme alle accise 124mld.
Ed i conti non tornano ancora mancando 119 miliardi che devono essere faticosamente raccolti dai monopoli, operazioni contabili, trasferimenti vari, e pur tuttavia resta ogni anno un deficit da coprire con debito di circa 30 mld€.
Questi dati dimostrano tutta la demagogia che difende l’evasione di massa tra sommerso e capitali nascosti calcolabile al minimo in 100 miliardi annui e dovendo portare sulle spalle un debito di 2700 miliardi. Altro che sovvenzioni a pioggia, aumento della spesa improduttiva a fini lobbistici. L’opposizione dei così detti partiti, spesso subdolamente nascosta dalla difesa di individuali diritti alla privacy, alla messa a disposizione della Agenzia delle Entrate di tutti i dati necessari, oramai facilmente ottenibili grazie all’informatica, per snidare chi ha già tanto derubato il paese e messo in pericolo la nostra vita è sotto gli occhi di tutti. Il Welfare futuro si baserà sempre di più sulla soddisfazione di bisogni essenziali, sanità, sicurezza, istruzione, assistenza accorta puntuale e sollecita, uso delle grandi reti infrastrutturali materiali e non materiali. L’Italia ha diritto, quel diritto che le viene riconosciuto nel mondo intero, di partecipare a pieno titolo allo sviluppo planetario, al progresso, al nuovo benessere che la Rivoluzione in atto disvela quotidianamente.
Questo guaio ignobile di un arricchimento nascosto a spese di pochi paganti e di bisognosi “veri” è emerso violentemente con la Pandemia, mettendo a nudo il Re che, giocando con finti moralismi e leggi elettorali ad hoc, impedisce nel paese dei contro poteri di dare giustizia e far brillare le straordinarie capacità di un grande paese, che- certamente- non è una grande potenza, ma un paese indispensabile per la crescita, lo sviluppo, l’equilibrio e la pace planetaria.
Ecco perché nonostante la stizza crescente nei confronti di Draghi i partiti leaderistici e non popolari sopportano e non amano un metodo di governo che si oppone a spese improduttive. Il paese l’ha forse più intuito che capito ma sicuramente spera che finalmente si metta mano ad una riforma sostanziale della parte seconda della Costituzione non facendo nel frattempo ulteriori danni. E la sanità pubblica, come la necessità ha dimostrato, è parte essenziale dell’esercizio di inalienabili diritti della persona.
La sanità pubblica (dagli ospedalieri ai “medici di famiglia”), nonostante qualche imbecille sempre presente nei grandi numeri, ha reso un grande servizio al Paese ed i cittadini se ne sono accorti, hanno preso coscienza dell’impegno di medici, sanitari, ausiliari; meritano loro e meritiamo noi una orgogliosa ed etica richiesta di buon governo.
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