Sono un medico di famiglia. Di famiglie sgangherate, incollate, copiate. In queste settimane sono spuntati come frutti acerbi e scoloriti gli adolescenti, figli di coppie disilluse e grigie. Gli adolescenti, i piccoli grandi dimenticati di questa pandemia. Sono arrivati man mano nel mio ambulatorio dopo aver fatto il giro delle parrocchie, tra psicologi, terapeuti e integratori al biancospino e melissa. Si sedevano al mio cospetto spauriti, dimagriti, tristi, tatuati di fresco, dopo un anno trascorso tra letto, divano, chat e didattica inscatolata dentro ai pc.
L’unico compito preso sul serio quest’anno, sembra essere stato quello di mantenere aggiornata l’immagine di se stessi sui social. Un compito che richiedeva ventiquattr’ore al giorno per sette giorni, senza tregua.
Hanno manifestato forti disagi psichici, disturbi alimentari, crisi isteriche e dubbi sulla propria identità sessuale, quasi che indossare i panni dell’altro possa servire a sopravvivere meglio nella società liquida in cui annaspano.
Presi dall’invidia per chi vedono luccicare sugli schermi, si sono ritrovati tra le noiose mura domestiche, a tu per tu con genitori coabitanti e litigiosi, pronti a spolverare le “piccole miserie della vita coniugale”, come direbbe Honoré de Balzac.
Depauperati dell’allegria e della disciplina obbligatorie a questa età, vivacchiano tra aggressività ed incertezze, senza saper sognare in grande. Sognare di se stessi, per aprirsi alla vita guidati dal sacro fuoco.
Iperprotetti in questi mesi, come fossero pronti a diventare vittime in itinere, non hanno saputo sfruttare questo limbo di mollezze casalinghe per studiare, applicare e capire quali potessero essere le carte da giocare nella vita. E azzardare, con l’entusiasmo e la spinta che la carica vitale della gioventù concede.
Nelle ultime settimane, movida e assembramenti stanno diventando il palco di questi giovani, che diventano attori di un periodo dominato dal distanziamento fisico e dalle barriere. Cercano di conquistare sempre un po’ più di spazio, rosicchiare minuti in più nei locali, aggirando regole e divieti, intolleranti e stanchi dalla apparente mancanza di prospettiva. In questo clima di feste private, party clandestini, i contagi aumentano e corrono veloci. Il virus Sars-Cov2 si insinua anche tra giovani e giovanissimi, facendo abbassare l’età media dei ricoverati.
I ragazzi stanno diventando gli “untori” di genitori e nonni, meno sintomatici ma molto contagiosi, sembra ci stiano proiettando nella terza ondata, con un virus che muta di continuo e che trova in loro ospiti favorevoli.
Responsabilizzare e disciplinare i loro comportamenti è un obbligo che noi adulti abbiamo. Vivere questa crisi pandemica,sanitaria,culturale ed economica, in futuro, potrà aver dato loro strumenti importanti, per gettare le basi di una vita concreta, fatta di speranze e di senso rinascita continua.
I giovani “dell’era Covid” me li aspetto migliori, l’aver oltrepassato e sopportato questi mesi dovrà aver dato loro un quid esistenziale in più.
In questo clima da “bruciate la città” bisogna imporre loro l’idea che non è mai finita, che possiedono l’onnipotenza mentale, che dovrà tradursi potenza ontologica.
Devono mettere a repentaglio la loro placida vita. Voglio giovani pazienti educati, istruiti, simpatici, nuovi e originali. Che abbiano più doveri che diritti. Voglio vedere la loro freschezza che si cristallizza nell’azione. Questo è ciò che un medico si augura di vedere nei propri assistiti.
Seguano il Vate “il mio sogno è stabile e regge il mio peso. E’il gradino su cui salgo, per avvicinarmi alle mie speranze”.
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