Il diabete è in aumento in tutto il mondo, cresce soprattutto il diabete tipo 2 che rappresenta circa il 90% dei casi in Italia, fortemente legato, anche nel nostro Paese, all’eccesso ponderale a sua volta riferibile ad iperalimentazione, a scarsa attività fisica ed alla struttura stessa della società. Secondo l’ultimo rapporto della International Diabetes Federation,il numero di persone colpite dalla malattia aumenterà in un prossimo futuro del 55%, da 382 milioni nel 2013 a quasi 600 milioni nel 2033.
Nel nostro paese sono circa 3 milioni gli individui affetti da quella malattia del benessere che è il diabete di tipo 2: in pratica i diabetici dichiarati sono circa il 3% della popolazione ma altrettanti lo sono senza saperlo. Il corretto trattamento dei pazienti può ridurre drasticamente l’insorgenza e l’evoluzione delle complicanze abbattendo notevolmente i costi di questa malattia.
Nel diabetico l’educazione alimentare deve essere anche educazione terapeutica e deve permettere al soggetto di acquisire e mantenere la capacità di realizzare una gestione ottimale della propria vita anche in presenza di una patologia cronica.
La difficoltà non risiede tanto nella comprensione delle diverse informazioni ma nella loro utilizzazione nella pratica quotidiana, si può dire che l’intervento del medico sull’alimentazione del soggetto diabetico nasce quasi contemporaneamente alla conoscenza della malattia e sappiamo oggi che le moderne modificazioni negative delle abitudini alimentari e dei comportamenti sono alla base della aumentata prevalenza della malattia diabetica nel mondo moderno. Tuttavia, pur riconoscendo che la terapia nutrizionale è alla base del buon controllo glicometabolico del paziente diabetico, è necessario ricordare che il paziente, proprio perché affetto da una malattia cronica, non può essere assillato da regole matematiche che lo costringano a valutare ogni singolo grammo degli alimenti assunti e possono alla fine portare il paziente a trascurare completamente il controllo delle quantità dei cibi.
E’ molto più importante spiegare ai pazienti le basi di una corretta gestione della loro vita in toto, acquisendo e conservando le competenze necessarie. Il Diabetes Prevention Program (DPP) ha dimostrato che l’intervento sullo stile di vita può rallentare o prevenire la progressione da una ridotta tolleranza glicidica al diabete di tipo 2.
Tre barriere si oppongono però a questa nuova visione più allargata e più confacente alla realtà moderna:
Un altro aspetto importante su cui le società scientifiche concordano è che tre aspetti debbono inoltre essere presi in considerazione: l’aspetto biologico, quello sanitario ma anche quello etnico: l’alimentazione deve rispettare le tradizioni e indurre all’utilizzo delle risorse dell’ambiente in cui si vive. Colleghi di larga esperienza diabetologica impostano gran parte della educazione alimentare su percorsi che portano alla riscoperta ed all’utilizzo di piatti e ricette della tradizione regionale producendo pubblicazioni, sotto forma di guida, che insieme a consigli medici rivisitano la cultura gastronomica locale
Inoltre le linee guida per la cura dell’obesità e del diabete sottolineano come il risultato di qualunque intervento sia in relazione con la possibilità di un contatto professionale continuo tra terapeuta e paziente. Il fine è anche di consentire che il rapporto non si interrompa qualora la prescrizione di un regime alimentare sia vissuta e subita come una frustrazione sociale e permetta di non demonizzare alimenti o gruppi di alimenti incidendo positivamente e stabilmente sul comportamento alimentare
Non più quindi un diabete visto come “disease of sugar” e quindi oggetto di un approccio parziale spesso controproducente, ma come malattia complessa necessitante un approccio olistico. Il medico di medicina generale ed il Dietologo dovranno quindi considerare la terapia nutrizionale come la componente principale del management della malattia ed inserirla possibilmente in una realtà pratica che tenga anche conto della cucina tradizionale e delle radici culturali del paziente diabetico.
La dietoterapia quindi, oggi meglio definita terapia medica nutrizionale per il ruolo predominante nella terapia del diabete di tipo 2, è una componente importante nella gestione del diabete e nell’educazione all’autogestione; essa mira essenzialmente al controllo del peso corporeo e ad indirizzare il paziente verso una corretta scelta quantitativa e qualitativa dei carboidrati.
Il calo ponderale è una strategia terapeutica importante nei pazienti in sovrappeso o obesi affetti da diabete di tipo 2 e ridotta tolleranza glicidica, infatti anche un moderato calo ponderale porta ad un miglioramento delle glicemie, riduce la pressione arteriosa e il rischio di malattie cardiovascolari, principale causa di morte nei pazienti diabetici.
Gli orientamenti nutrizionali più recenti consigliano di contenere l’apporto di carboidrati intorno al 50% della calorie totali, aumentando i lipidi a circa il 35% delle calorie totali purchè essi siano in prevalenza rappresentati da ac. grassi monoinsaturi (MUFA: ac oleico); ciò porterebbe, infatti, ad un miglioramento del controllo glicemico, con riduzione dei picchi post-prandiali ed un miglioramento dell’assetto lipidico con aumento dei livelli di HDL colesterolo ed una riduzione della sintesi epatica di VLDL e trigliceridi plasmatici. Tali percentuali dovranno essere stabilite dal medico e proposte al paziente con schemi pratici e di facile attuazione.
La scelta dei carboidrati dovrà cadere su quelli complessi (pasta, pane, legumi) che riducono il picco glicemico post prandiale, così come la presenza di fibra alimentare presente nelle verdure, nei cereali integrali e nella frutta, modula l’assorbimento dei carboidrati riducendo anch’essa i picchi glicemici post-prandiali. Il fruttosio può essere utilizzato in sostituzione ad altri zuccheri nella quantità giornaliera di 15-20 g, perché, pur fornendo le stesse calorie del saccarosio, provoca una escursione glicemica più bassa.
Molte sono le possibili spiegazioni per giustificare la diversa capacità degli alimenti di provocare risposte glicemiche ed insulinemiche diverse , che possono variare persino al variare della forma dei chicchi di riso o della pasta, dal grado di cottura, dalla quantità e qualità delle fibre alimentari intimamente legate all’alimento o associate alla dieta, e dalle composizione globale del pasto.
Oggi quasi tutti i pazienti anche non diabetici conoscono il cosiddetto indice glicemico IG anche se non hanno ben chiaro il concetto che sta alla base di esso e come si possa utilizzare per programmare una corretta dieta. L’Indice Glicemico è una valutazione quantitativa degli alimenti basata sulla glicemia postprandiale espressa come una percentuale di risposta ottenuta dalla somministrazione di una porzione di carboidrati rispetto ad un alimento di riferimento (come i glucidi del pane bianco o il glucosio); cioè è l’area, sottesa alla curva glicemica, che si ottiene dopo la somministrazione di 50g di carboidrati dell’alimento indagato, rispetto all’area descritta da un’uguale quantità di glucosio o di glucidi del pane bianco. Gli alimenti contenenti i carboidrati se consumati in quantità isoglucidiche evocano diverse risposte glicemiche che dipendono dalla natura, dal tipo e dalla modalità di lavorazione dell’alimento stesso.
Quanto più lentamente avviene l’assorbimento dei carboidrati,e quanto meno si alza la glicemia, tanto più basso è il valore dell’Indice Glicemico. Alimenti a basso indice glicemico sono ad es lo yogurt (IG 20) , i legumi ( IG 20) le fettuccine (IG 46) gli spaghetti ( 52) con indice glicemico alto le patate novelle (IG 81) il riso bianco (IG 83), il purè di patate (IG 100), il miele (IG 104) il glucosio (IG 137). Bisogna comunque fare attenzione perché l’Indice Glicemico non è il solo, né il più importante criterio di valutazione di un alimento.
Alcuni cibi, a basso IG, infatti, devono essere usati con moderazione a causa del loro alto contenuto di grassi (come la cioccolata, le noccioline, ecc), mentre alcuni ad alto Indice Glicemico possono rivelarsi delle buone scelte dietetiche perché hanno poche calorie e un alto valore nutritivo (come le carote) o pochi grassi (come il pane, i cereali in fiocchi, ecc). In conclusione, si può affermare che l’Indice Glicemico è un’importante informazione che va aggiunta alle classiche tabelle, che descrivono le caratteristiche dei cibi e che, quindi, non può essere considerato un dato in grado di riassumere, né sostituire, le altre informazioni.
Anche il frazionamento dei pasti è importante per evitare dei carichi glicemici in singoli pasti. E’ necessario quindi consumare colazione ,pranzo e cena, ed eventualmente uno spuntino pomeridiano qualora si ceni tardi la sera o uno spuntino la sera tardi se la cena è stata consumata presto.
Lo schema dietetico va elaborato da uno specialista che terrà conto in particolare dell’apporto calorico nel caso di sovrappeso o di obesità. Se il paziente è normopeso potrà tranquillamente effettuare da solo delle modifiche o delle modificazioni nei suoi pasti tenendo conto delle sostituzioni concesse ed imparando a valutare l’indice glicemico ed il carico glicemico del suo pasto. Vi sono ormai numerose tabelle che aiutano il paziente a valutare le sostituzione isoglucidiche di diversi alimenti cioè ad esempio a quanto equivalgono 50 g di pasta se sostituiti da pane (g 60) o patate (g180) o da polenta (g120) ecc. in modo cha la dieta possa essere facilmente variata.
Chi soffre di diabete di tipo 2 dovrebbe quindi prevedere nella sua alimentazione da un punto di vista qualitativo :
Gli spuntini vanno consigliati nei soggetti che presentano frequenti sbalzi glicemici e sono normopeso: Nei soggetti in sovrappeso . che sono la maggior parte dei pazienti diabetici di tipo 2, la quota calorica va attentamente monitorata, vano indicate le quantità degli alimenti, e la razione alimentare distribuita per lo più in tre pasti eventualmente proponendo spuntini a base di crudità o di yogurt magro sempre in base ai gusti e abitudini del paziente
Ricordiamoci che cambiare il proprio stile di vita significa proprio essere più consapevoli della propria alimentazione, scegliere alimenti sani e porzioni abituali moderate.
Infine da non dimenticare che l’attività fisica quotidiana, anche se moderata, deve essere la compagna abituale della corretta alimentazione.
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