L’esame antropologico culturale ci porta a ritenere che la storia dello sviluppo umano sin dagli inizi, faccia costante riferimento al territorio nel quale vive: la storia dell’uomo si confonde così con la storia del territorio dell’uomo.
A conferma del territorio quale fenomeno determinante nell’evoluzione della specie umana, Steward nel 1936, attraverso lo studio di selvaggi sparsi in varie zone del globo, concludeva che i costumi territoriali erano tra questi molto simili pur non essendovi comunicazioni tra loro.
Studiando i costumi dei popoli più primitivi, si nota il passaggio del concetto più semplice di territorio a quello di proprietà, attraverso la identificazione del territorio con i prodotti.
È il passaggio dall’uomo cacciatore all’uomo pastore che mostra l’estensione della difesa del territorio agli armenti. Varie osservazioni anche recenti confermano questo asserto e sottolineano il rapporto tra dimensioni del territorio e produttività, già proprio di molti animali e favorente la identificazione del territorio col prodotto.
Il territorio anche nella nostra specie, oltre che negli animali, influisce sulla selezione sessuale. Secondo le osservazioni di Bogaras nei Chuckychi della Siberia, il possedere una grossa mandria di renne, di saperla difendere, rappresenta per un uomo di questa razza, una reale attività e attrattiva sessuale.
Il territorio tende ad isolare i gruppi e quindi a favorire differenziamenti genetici e culturali. Nella nostra specie l’unico meccanismo che prevenga dall’incrocio stretto è l’orrore dell’incesto. Nell’uomo comunque i tre fattori territorialismo, gerarchia, preferenze sessuali interagiscono e portano alla non casualità degli accoppiamenti. Lo stato sociale e l’aggressività influenzano la conquista e la difesa territoriale, attributi a loro volta oggetto di preferenze sessuali.
Da tutto questo, il quadro generale che si ricava per la nostra specie, è di una tendenza all’isolamento e alla specializzazione locale dei gruppi, a cui concorrono fattori sia genetici che culturali.
Dunque l’uomo è un animale territoriale, tutte le aree che sono occupate sono difese dall’ingresso di altri e il territorio è organizzato secondo diversi livelli di proprietà da quello individuale a quello nazionale.
Queste proposizioni sono evidenti nel mondo animale a conferma di una struttura cerebrale comune che le determina. Da qui l’importanza dell’anatomia comparata nello studio dell’evoluzione del sistema nervoso centrale dell’uomo. In esso persistono ancora oggi vecchie strutture encefaliche comuni a tutti i vertebrati. Esse sono rappresentate dalla formazione reticolare mesencefalica, dall’ipotalamo, dai nuclei basali. Questo cervello primitivo condiziona comportamenti stereotipati, programmati da apprendimenti ancestrali.
Lo riscontriamo in certi comportamenti primitivi come la delimitazione del territorio, la caccia, l’accoppiamento, le gerarchie sociali, la selezione dei capi, la fuga, la lotta, la fame, la sete. Lo troviamo magnificamente espresso nella tartaruga che torna ogni anno nello stesso posto a deporre le uova. Questo cervello antico è incapace di apprendere comportamenti diversi in risposta a situazioni nuove e inopinate. Certi riti e cerimonie, certe leggi (ordalia), opinioni morali, e sociali, pregiudizi, forme di comportamento che caratterizzano varie epoche storiche, possono tutte essere spiegate sull’azione che tale parte del cervello esplica ancora, pur in una struttura nervosa che si è organizzata in nuove forme. Da cui consegue l’utilità della conoscenza di tali strutture, nella spiegazione di molti comportamenti.
Il non considerare questa cosa, o peggio, il tentativo di rimuovere pulsioni che derivano da queste strutture primitive, portano a disordini neurotici. Al contrario la soddisfazione di tali pulsioni, fenomeno incoraggiato in talune strutture sociali, costituisce fattore di estrinsecazione che si contrappone al manifestarsi di tali disordini.
La seconda tappa della evoluzione, ben evidente nei mammiferi, ha ricoperto tale parte del cervello di una calotta corticale, formazione che si identifica con il lobo limbico di Broca, il quale possiede delle connessioni con le formazioni olfattive per cui si credette per lungo tempo che la sua funzione fosse in relazione all’olfatto, ecco il termine di rinencefalo.
Papez nel ’37 dimostrò inequivocabilmente che le sue funzioni erano più complesse e si estrinsecavano in manifestazioni emozionali, endocrine, e viscero-somatiche. Mac Lean nel ’52 suggerì il termine di sistema limbico e si vide che esso continua a funzionare nell’uomo ad un livello istintivo e le sue connessioni strette con l’ipotalamo, mostrano che è obbligato a giocare un ruolo essenziale nelle espressioni emotive quali la paura, la collera, l’amore, la gioia, sentimenti caratterizzanti tanto le situazioni individuali, quanto di gruppo. Esso comprende un circuito che collega varie formazioni: formazione reticolare del tronco encefalico, l’amigdala, l’ippocampo, l’ipotalamo.
Ma accanto a questa funzione, il sistema limbico possiede anche un ruolo importante nella fissazione delle tracce mnemoniche. Si sa che accanto a una memoria a breve termine, sensibile all’elettroshock e che mette in funzione circuiti riverberanti, esiste una memoria a lungo termine sensibile agli inibitori della sintesi proteica, quali l’actinomicina D. Il sistema limbico sarebbe la sede della memoria a lungo termine, consentendo la engrammazione nervosa delle esperienze, grazie alle sintesi di nuove molecole proteiche.
Il terzo cervello, quello più propriamente umano, è il neoencefalo, avviluppante gli altri due, sotto la forma della corteccia degli emisferi cerebrali. Questa formazione encefalica, maturata in qualche grado soltanto nei mammiferi più evoluti, è nell’uomo particolarmente sviluppata nella zona orbito-frontale. Zona associativa che permette la comparsa di attività nervose variate, di soluzioni comportamentali sempre meno stereotipate, essa costituisce la base anatomico-funzionale dell’immaginazione, creatrice di nuove strutture funzionali, di attività nervose più complesse, meno direttamente dipendenti dall’ambiente.
E vediamo ora il funzionamento combinato di queste varie strutture. Quando una variazione energetica dell’ambiente si produce, attraverso le vie sensoriali i sistemi neurali interiorizzano il fenomeno e questo vale per tutti e tre i cervelli. Quello che caratterizza le strutture più evolute è la possibilità di integrare ed elaborare le afferenze sensoriali provenienti dall’ambiente, da cui un comportamento originale, una previsione delle relazioni possibili di un ambiente che va mutando, addirittura un’anticipazione di tali variazioni.
Il neoencefalo quindi sulla base dei dati e delle acquisizioni del paleoencefalo tenta di programmare, di anticipare il futuro e realizzare nel presente le acquisizioni delle sue facoltà immaginative. Quindi i comportamenti cui il sistema limbico e il cervello dei rettili danno luogo sono abbastanza semplici e stereotipati e se hanno favorito le difese di certe specie in un ambiente non troppo mutevole, non hanno permesso una conoscenza, una previsione e un’azione che potesse mutare certe altre condizioni ambientali.
Noi prendiamo coscienza del loro funzionamento inconscio solo attraverso i fenomeni vegetativi che l’accompagnano (vasocostrizione, tachicardia, vasodilatazione, traspirazione, piacere, risoluzione del tono muscolare, ecc.) Ma anche quando siamo consapevoli di questi fenomeni, noi rimaniamo estranei al loro significato filogenetico, alla finalità ancestrale che li guida.
In effetti se queste cose esprimono uno stato di attività di certi neuroni, questo si situa a un livello troppo primitivo per esprimersi con un linguaggio logico, matematico del tipo di quello che utilizziamo nello scambio di informazioni. Nel nostro linguaggio, noi abbiamo rappresentato la struttura della neocortex, delle sue organizzazioni e relazioni con l’ambiente, sino ad arrivare ad interpretare e giustificare le nostre pulsioni primitive.
Facendo più specifico riferimento ad autori come Laborit, il rapporto tra uomo e territorio mediato dalla struttura nervosa di cui sopra, evolve sino a che in età moderna il territorio si identifica con la città. Un processo lungo che parte dall’uomo nomade il cui territorio mutevole è la foresta che percorre per cacciare, all’uomo che diventa pastore ed agricoltore e abbandona il nomadismo. Questa cosa viene definita rivoluzione neolitica e condiziona l’organizzazione sociale che porterà lentamente alla costruzione delle città come il luogo della seconda rivoluzione definita “neoencefalica”.
Accadrà, sta accadendo, o è già accaduto, a seconda di valutazioni diverse e ognuna opinabile, che si prenda maggiore coscienza di sé stessi, attraverso il funzionamento del proprio cervello, imparando a distinguere per prima cosa, le pulsioni più profonde di origine ipotalamica, dagli automatismi comportamentali di derivazione limbica.
Sono chiare a questo punto le deduzioni evolutive che si possono porre da una ipotesi così formulata: il neoencefalo potrà sempre più sviluppare la sua attività sulle strutture inferiori, da permettere di prevedere comportamenti dell’uomo nel senso di una maggiore autorealizzazione, nel senso di una maggiore libertà. Tutto questo chiarendo, motivando, le pulsioni comportamentali delle strutture inferiori in un processo di autorealizzazione che è comprensione e non inibizioni delle stesse.
L’estensione in campo sociologico porta a non riporre troppa fiducia nei rivoluzionari nel senso tradizionale della parola, e condizionati essi stessi da “giudizi di valore”, motivati dalle strutture ipotalamiche e limbiche, anche se espressi apparentemente da idee nuove generate nelle strutture cerebrali più evolute.
Se non sarà presa coscienza della vera natura umana, difficilmente sarà possibile generare quell’evoluzione a livello “informazionale” non solo “fisico” che può riunire e dare una nuova dimensione all’umanità. Se cioè sarà possibile fare in modo che i bisogni umani, quella quantità di materia, energia e informazione che è necessario al mantenimento di una struttura, siano dettati da una struttura globale immaginante e non da strutture sociali e individuali che si oppongono alla integrazione degli individui e dei gruppi sociali in un insieme più complesso.
La resistenza paleo-encefalica a questo processo è formidabile, ma l’uomo sarà costretto a sbarazzarsene come ha rinunciato alle guerre mondiali sotto la minaccia della bomba atomica. L’attuale società industriale è un servo meccanismo che lavora “in tendenza” non stabilizza le sue azioni, le amplifica in continuazione.
La città moderna che è il territorio umano ne è un esempio. Nessun meccanismo può però lavorare in tendenza infinitamente, deve sopraggiungere un punto di rottura che per l’umanità può essere varie cose, in primis la catastrofe ecologica. Questo timore forse sarà più influente di qualsiasi esortazione e l’umanità sarà per questa via costretta a quel salto evolutivo che l’attende.
In qualche modo bisognerà imbrigliare l’aggressività dell’uomo da sempre rivolta verso gli altri uomini, e ora sempre più verso la natura. E per tornare ai determinanti neurologici sottesi, detta aggressività trae origine più che dalle pulsioni ipotalamiche dagli automatismi del sistema limbico, sia che questi vengano messi in questione, sia che vengano difesi.
Al giorno d’oggi pertanto, l’aggressività esprimerebbe la difficoltà del passaggio da una società mercantile nella quale i comportamenti sono fondati su miti come quello dell’espansione, ad una società universale nella quale, i comportamenti siano il risultato di un’elaborazione razionale.
È in chiave evoluzionistica strutturale il passaggio ad un impiego delle aree associative corticali. In questo sistema di mediazioni struttura-comportamento, nessuna delle grandi rivoluzioni della storia ha fatto compiere all’umanità un salto di livello paragonabile a quello della rivoluzione neolitica.
Ora è il tempo della seconda rivoluzione che chiameremo informazionale: permetterà il dominio della corteccia orbito-frontale sugli altri settori del cervello.
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